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Dèon, reazionario snob e scrittore di prima classe

Autore: Alessandro Gnocchi
Testata: Il Giornale
Data: 14 aprile 2019

Arthur è un affermato affarista sulla mezza età. Nel corso degli anni ha sviluppato una doppia personalità. Sulla scena pubblica appare come un duro e consumato uomo di mondo. In privato, è ancora il ventenne che, emigrando in America dalla Francia, ha conosciuto sul piroscafo due donne diverse ma entrambe seducenti. Augusta ed Elizabeth. La prima è una ricca e fragile sudamericana, la seconda una statunitense in fuga dalle convenzione della upper class. Arthur invece è un imbranato che fa rotta sulla prestigiosa università di Beresford per cooptazione di un importante politico in cerca di giovani europei ai quali impartire i valori americani.

Arthur è tornato a Parigi, in città si muove in bicicletta per snobismo, viaggia all'estero con macchina affittata e autista per snobismo, considera l'amore come una questione igienica da affidare a professioniste del ramo, è inseguito dalla ricchezza che investe in edizioni di pregio. Tanto disincanto non impedisce ad Arthur di essere tormentato da un sospetto. L'intera «verità» della sua vita è racchiusa nella breve vacanza con Augusta di vent'anni prima. Lontani da tutto, si sono amati senza finzione e ostacoli. Questa parentesi di autenticità è racchiusa in un'altra parentesi, la giovinezza intera, finita la quale non resta che consegnarsi alla società per conquistarla o esserne distrutti. In attesa di incontrare ancora Augusta, Arthur seduce (o viene sedotto) da Elizabeth. Entrambi però negano qualunque forma di sentimentalismo. Sesso e amicizia possono bastare. Perché Arthur ha lasciato andare via Augusta senza opporre resistenza? Perché Elizabeth non ha mai parlato chiaramente di amore? Perché innamorarsi del sogno Augusta e rifiutare la realtà di Elizabeth?

Le risposte (sorprendenti) arriveranno solo alla fine di Prima classe, capolavoro di Michel Déon, edito in origine nel 1966, e ora pubblicato dalle edizioni e/o. Déon, nato a Parigi nel 1919, è un personaggio da film. Da ragazzo si arruola volontario ma diventa anche segretario di Charles Maurras, il leader dell'Action Française, la casa dei reazionari francesi. In realtà quando Déon si avvicina a Maurras, tra il 1940 e il 1942, la «casa» mostra le prime crepe. Pur restando anti-tedesca, sostiene la Repubblica di Vichy, massacrata invece da ex militanti dell'Action come George Bernanos inorridito davanti all'alleanza con i nazisti. Nel 1946 vince una borsa di studio e si trasferisce negli USA dove si ubriaca con William Faulkner, traduce Saul Bellow e collabora con Billy Wilder. Nel dopoguerra Dèon viene accostato come artista ai cosiddetti Ussari: Roger Nimier, il capobanda, Antoine Blondin e Jacques Laurent. Tre autori molto diversi fra loto e molto diversi anche da Déon al quale l'accostamento non sarà sempre gradito. Il nome della (non) corrente, in origine era dispregiativo e si rifaceva al romanzo più famoso di Nimier, l'Ussaro blu (Theoria). Il legame è cultura nel senso più ampio. Gli Ussari sono reazionari e monarchici. Rifiutano la miseria morale del dopoguerra. Contestano il primato di Jean-Paul Sartre. Sono moderatamente gaullisti ma si allontanano dal generale quando concede l'indipendenza all'Algeria. Déon a questo punto si è già sfilato dal gruppo, trascorrerà la maggior parte dei suoi giorni in Grecia e a Dublino. Nel 1978 però diventerà il più giovane degli Immortali, cioè degli Accademici di Francia. Muore a Galway, in Irlanda, nel 2016. Il grande successo di pubblico era arrivato con Un tassì color malva (1973), portato al cinema da Yves Boisset, su sceneggiatura dello stesso Déon (in collaborazione con altri). Ecco, il cinema. Partiamo da qui. Déon non voleva essere accostato agli Ussari ma ha innegabilmente qualcosa di Ussaro. Nimier fu amico di Louis Malle, per il quale sceneggiò Ascensore per il patibolo. Tra gli altri, Nimier collaborò anche con Michelangelo Antonioni. Non è solo il cinema. Déon è uno scrittore più raffinato dei «sodali» ma nella sua prosa limpida si avvertono, in lontananza, i tamburi degli Ussari persino in Prima classe, così lontano da quella stagione. Dal punto di vista narrativo nella accelerazione improvvisa del finale (che ricorda Piccoli borghesi di Drieu La Rochelle). Dal punto di vista tematico nelle stoccate nascoste qua e là: contro l'ipocrisia degli intellettuali anti-borghesi, contro la sociologia un tanto al chilo; contro la presunzione degli artisti d'avanguardia. La leggerezza apparente di Déon, che rifiuta gli «effetti speciali» di Nimier, ricorda un altro scrittore imparentato chiaramente con gli Ussari, il premio Nobel Patrick Modiano. Déon si colloca lì in mezzo, tra Nimier e Modiano. Ha la finezza del secondo ma non ha dimenticato il tono provocatorio del primo.

Al di là di queste considerazioni, perché leggere Prima classe? I motivi si sprecano. Ne elenchiamo qualcuno. È una rara storia d'amore senza alcuna banalità sentimentale. Propone personaggi a tutto tondo, Déon è magistrale nel ritrarre i protagonisti e anche i personaggi di secondo piano (indimenticabili). L'ironia è dosata con molta sapienza: fa male soprattutto quando è nascosta. Déon costringe a ripensare la propria vita. Abbiamo affidato alla sorte, senza neppure esserne consapevoli, ciò che avremmo dovuto coltivare con cura? Chiamiamo «sorte» la nostra debolezza per soffrire meno? I rimpianti sono l'unica cosa reale della vecchiaia? Possiamo fidarci della nostra memoria? Dobbiamo concederle di tradire il vero? E se tutti questi timori non fossero fondati, e avessimo dunque nutrito una malinconia fuori luogo, proprio mentre realizzavamo i nostri desideri? E c'è una vita d'uscita da questo labirinto? Non esiste uomo o donna che un giorno non rifletta su tutto questo. Déon ci offre la sua preziosa versione dei fatti con straordinaria grazia (e perfidia).