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Il padre mistico del'islam ama le donne e viaggia alla ricerca del senso della vita

Autore: Francesca Paci
Testata: La Stampa Tuttolibri
Data: 12 aprile 2019

Ogni volta che un attentato jihadista squassa vite e coscienze, risale prepotente dalla pancia del mondo occidentale la domanda sulla natura profonda dell'islam. Religione di guerra o religione di pace, fondamentalismo ontologico o permanente dialettica tra radicalità e moderazione, barbarie sempiterna o illuminismo mancato? La verità è che l'islam è uno, nessuno e centomila ma, soprattutto, non è sempre stato la gabbia della ragione che conosciamo oggi. Chi fosse curioso di andare oltre l'urgenza di risposte pret-à-porter dettata dalla cronaca, può immergersi nella lettura del corposo volume di Mohamed Hasan Alwan Una piccola morte, la biografia romanzata del grande mistico sufi Muhyiddin Ibn 'Arabi vissuto a cavallo tra l'XII e il XIII secolo tra l'Andalusia, il Nord Africa e il Medioriente già conteso tra Califfi e discendenti diretti del Profeta Maometto. L'unica avvertenza è non lasciarsi scoraggiare dalla mole del libro - 539 pagine - e dall'argomento dottrinale: la scrittura del quarantenne saudita Alwan, brillante esperto di marketing internazionale votato alla letteratura e già pluripremiato, scivola via paragrafo dopo paragrafo trasportandoci dentro labirintiche medine, deserti dorati di stelle e mercati odorosi di carne e di spirito.

Siamo nella seconda metà del 1100 nella Siviglia degli Almoravidi e poi degli Almohadi, al Andalus, la Spagna musulmana, terra di guerre sanguinarie tra Califfi ma anche di vita mondana, vino a fiumi, schiavi comprati e schiavi emancipati, disfide filosofiche in turbante tra Ibn Tufayl e Abu al-Walid Muhammad ibn Ahmad Ibn Rusd detto Averroè, pile di libri tradotti dagli amanuensi accanto a vezzosi parrucchieri per ragazze e poi moschee, chiese, sinagoghe, arabi, franchi, meticci, berberi, la normalità dei matrimoni misti.

Ibn 'Arabi nasce e cresce in una famiglia di funzionari governativi, prega poco, studia molto e adora i circoli letterari dove dove ragazzi e ragazze discutono di Pitagora, Averroé, di donne «che dovrebbero governare come fanno gli uomini e andare in guerra come fanno gli uomini» e della necessità d'una politica irreprensibile perché «quando il cibo scarseggia e viene meno la speranza, la gente giustifica ogni propria azione riprovevole appellandosi al bisogno e alla necessità».

Ai capitoli sull'educazione sentimentale e teologica del futuro grande maestro Ibn ‘Arabi - che tra matrimoni, lutti e carovane commerciali insegue i quattro maestri destinatagli da Dio attraverso le antiche porte del Cairo, la Mecca, Damasco, Aleppo, Baghdad - si alterna, parallela, la storia di un misterioso manoscritto di cui scopriamo i dettagli poco alla volta. È l'autobiografia del protagonista che s'immagina scritta alla fine della sua vita in eremitaggio alpino in Azerbaigian e che scavalca limiti spaziali e temporali per arrivare, a ridosso dell'epilogo, all'anno musulmano 1402, il nostro 1982, quando tra le macerie della città di Hama sventrata dal tiranno Hafez al Assad per domare una rivolta dei Fratelli Musulmani i siriani «escono dalle tombe» e nell'esodo riescono a portare in salvo il manoscritto sfuggito per miracolo alla razzia dei governativi nella biblioteca della Grande Moschea al Nuri, perché «i soldati ignorano la differenza tra islamismo e sufismo».

Al di là del messaggio religioso, che afferma l'esistenza, questa sì politica, di un islam spirituale tanto inviso ai salafiti quanto ignorato dall'occidente, Una piccola morte, tradotta già in più di dieci Paesi, porta con sé una galleria formidabile di tableaux vivants, la cronaca di una Storia quasi invisibile con gli occhiali di questi anni. Califfi che dialogano con i giuristi malikiti (la più aperta delle quattro scuole islamiche) e altri che li mettono al bando, schiere di studenti ad ascoltare il Corano interpretato alla Mecca dalla sceicca Fakhr e fondamentalisti in erba, l'ascesi del protagonista mescolata alla passione carnale per le donne della sua vita, testi di fede impilati con il Grande libro dei Rimedi in cui il farmacista ebreo Ibn Baklarish elenca i cibi che «aumentano lo sperma e accendono il desiderio sessuale come ad esempio i ceci, i legumi, i pinoli, i fichi, la rucola, gli asparagi, lo zenzero».

Muhyiddin Ibn 'Arabi muore a Damasco nel 1240 ed è un profugo siriano dei nostri giorni a consegnare infine il suo manoscritto a una giovane ricercatrice volata per questo da Parigi a Beirut. Siamo ormai al 2012, il sonno della ragione ha travolto da tempo l'eredità di al Andalus il romanzo si spegne con l'ultimo richiamo della moschea: resta nelle narici l'odore di un mondo perduto fin quando qualcuno non lo penserà diverso perché, se aveva ragione Averroé, «il bello è ciò che l'intelletto rende bello e il brutto è ciò che l'intelletto rende brutto».