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QUANDO SI RUBA UNA VITA

Autore: Raimondo Bultrini
Testata: La Repubblica
Data: 9 marzo 1998

Guido Carlotto, da qualche parte a Buenos Aires, festeggerà vent'anni nel duemila. E chissà se, prima del volgere di questo millennio, arriverà a sapere quale fu la sua vera madre. Magari gli capiterà di leggere, senza riconoscersi tra tanti protagonisti, il libro di un lontano parente italiano, dove ai Carlotto d'Argentina è assegnato il ruolo di simbolo di una memoria dolorosa e negata per centinaia di bambini cresciuti nel seno di famiglie che non gli appartenevano, che li hanno allevati nella finzione più crudele, l'inganno dell'amore materno, paterno e filiale.

Quello che Guido non sa è che nel suo corpo scorre il sangue di una Carlotto di nome Laura. E che il sangue di Laura scorreva diciotto anni fa in una lurida cella de La Cacha, quando le pallottole di poliziotti e soldati senza pietà crivellarono il suo giovane corpo di madre per poche ore.

Oggi Guido non sospetta nemmeno di chiamare mamma e papà un uomo e una donna che potrebbero essere stati complici degli stessi assassini dei suoi genitori veri, che in vita furono militanti montoneros e per questo desapareciron assieme a migliaia di giovani argentini tra il 1976 e il 1983.

Lungo le strade che conobbero le dolorosas historias dei tanti Carlotto d'Argentina ha viaggiato un Carlotto italiano di nome Massimo, un passato burrascoso di lotte politiche, carcere e scritture ruvide. Dal bus che lui chiama "Horror Tour" Massimo è sceso col cuore in fiamme e il block notes zeppo di appunti. Le IRREGOLARI è il diario allucinato di questo pellegrinaggio nei luoghi dell'Olocausto sudamericano che l'autore, al suo quarto romanzo verità, ha compiuto tutto d'un fiato tra i ricordi vivissimi delle famiglie dei desaparecidos, le loro foto ingiallite, le didascalie di luoghi e circostanze scolpiti nella memoria. La sorte dei figli di coloro che i generali vollero "estirpare" come gramigna dal suolo argentino non teme paragoni con quella dei bambini ebrei dagli occhi azzurri e i capelli biondi che le SS allevarono nella paranoide illusione di simulare la purezza ariana dopo averli sottratti ai genitori spediti nei campi di sterminio.

Nella versione argentina l'orrore della pulizia etnica, riproposto infinite volte nella storia, ex Jugoslavia compresa, si somma al delirio ideologico. Al punto da teorizzare che il gene della sovversione poteva essere reso innocuo in quei "figli di terroristi" attraverso l'educazione impartita dalle sane famiglie borghesi compiacenti. Ma non basta. Ancora oggi molti ben pensanti preferirebbero risparmiare a questi ragazzini il dolore della verità, nella convinzione che l'amore dei genitori adottivi possa aver purificato gli uni e gli altri.

E' anche per questo che l'immenso paese sudamericano continua a vivere con il peso di una grande e ipocrita menzogna propagata in ogni cellula del suo corpo malato. E fa parte dello stesso processo di rimozione collettiva il fatto che ben pochi resti umani sono riemersi dal gigantesco cimitero invisibile di almeno 30 mila uomini e donne che s'estende dal Mar de La Plata alle avenidas delle città segretamente insanguinate nei sette anni di guerra sucia.

I testimoni dell' "Horror Tour" di Carlotto vagolano come cacciatori di fantasmi ricordando ogni nome, ogni data, con puntigliosa ossessività. Perché, gli dicono tutti, ben pochi responsabili hanno pagato, e perché il punto final, il perdono istituzionale, non potrà mai trovare corrispettivi nel cuore dei Carlotto e dei Bonfini, dei Carrizo, dei Maisano, dello sterminato elenco di genitori, nonni, zii, fratelli degli scomparsi e dei loro figli che - come Guido - furono strappati piccolissimi a madri incatenate e impotenti.

Ritrovare questi bambini e restituirgli l'identità rubata è ormai il principale scopo della vita nella vita delle madres e delle abuelas, madri e nonne di Plaza de Mayo, che, come detective, scandagliano ogni angolo d'Argentina, spingendosi fino in Paraguay, Uruguay, Cile, Bolivia alla loro ricerca, scontrandosi non solo contro un muro d'omertà, ma anche contro il pregiudizio di una società timorosa e assuefatta.

Tra le tante cose che Guido Carlotto non sa, è che qualcuno sta cercando anche lui, sfruttando l'unica legge davvero severa concessa dal nuovo regime democratico, la legge che impone l'esame del DNA alle famiglie sospettate di aver allevato figli di desaparecidos. Qualcuno di nome Estela Carlotto, quella bella e combattiva signora dai capelli d'argento e gli occhi chiari che ogni tanto Guido- distrattamente come tanti altri argentini- avrà visto in Tv, magari durante il doloroso rito del corteo di Plaza de Mayo.

Estela è la barricadera presidente delle abuelas. Fu sua figlia Laura a dare alla luce Guido nell'ospedale militare, dopo essere stata tenuta in vita a questo unico scopo nel centro di detenzione di La Cacha. Estela avrà ripetuto mille volte lo stesso racconto, scuotendo l'emozione di chi l'ascolta fino alle lacrime. Ma nessuno ne è stato rapito quanto il lontano parente italiano, Massimo lo scrittore, ex militante di Lotta Continua durante gli anni di piombo in Italia, detenuto con l'accusa di aver ucciso una vicina di casa, esiliato in Sud America, amico di molti guerriglieri, graziato dal Presidente della Repubblica dopo una serie di processi in contraddizione l'uno con l'altro.

Massimo apprende da Estela della comune origine vicentina della famiglia e, insieme, della comune militanza politica con la lontana cugina rivoluzionaria. "A Laurita mancava metà della faccia- gli racconta la presidente delle abuelas - spazzata via da un colpo di fucile a pallettoni. Un'altra scarica le aveva devastato il ventre, certo per nascondere le tracce della recente maternità...".

Sebbene martoriato, quel corpo restituito da poter deporre in una tomba, da poter piangere, ha rappresentato, dice Estela, una rara "fortuna", un "regalo del generale Bignone (segretario della giunta militare, n.d.r.) in nome della mia vecchia amicizia con sua sorella". Per Estela, che fu tranquilla madre di famiglia e maestra elementare prima di ritrovarsi catapultata in nel gorgo degli eventi, adesso resta da portare a termine l'ultimo delicato compito, ritrovare Guido.

"Abbiamo un testimone- rivela a Massimo Carlotto - un soldato di leva, di guardia all'ospedale dove Laura partorì. Mi ha contattata già da diverso tempo. Gli rimorde la coscienza di essere stato complice, suo malgrado, dei golpisti, ma non ha abbastanza coraggio per testimoniare in tribunale. Ha visto in faccia e riconosciuto il civile che portò via il bambino..."

C'è da credere che, prima o poi, Estela riuscirà a individuare suo nipote, ed è pronta, come tutti gli altri familiari degli scomparsi, a mettere il ragazzo di fronte allo specchio della sua vera origine, senza temere l'effetto del trauma.

"Perché un uomo non può vivere nella menzogna", dice. E perché molti psichiatri hanno studiato il "caso argentino" giungendo alla convinzione che l'identità celata di questi ragazzi sedimenta nell'inconscio, traccia solchi interiori di sofferenze apparentemente inspiegabili, legate al richiamo del sangue.

Anche Massimo Carlotto sembra scrivere nella trance da contagio, come se il suo sbarco a Buenos Aires potesse dipendere dalla genetica appartenenza a questa famiglia di guerriglieri e idealisti. E non a caso qua e là nel racconto compare il suo amato nonno anarchico emigrato a Buenos Aires a fine '800. E' lui a guidarlo come in un sogno nei passi di tango, tra malinconiche milonghe che accompagnano l'"Horror tour".

Peccato che col fantasma dell'avo non volasse, spiritello ispiratore, il vecchio Osvaldo Soriano, più volte evocato e citato da Carlotto. Un soffio di letteratura avrebbe infuso vita speciale a questo paese di fantasmi borgesiani che, molti di noi inconsapevoli, aleggeranno tra breve anche in Italia, dove si celebrerà in aprile uno dei più importanti processi internazionali ai sopravvissuti della giunta militare argentina. Almeno 116 desaparecidos erano infatti nostri connazionali.