Cosa affiora quando si cala un secchio nel fondo oscuro della nostra testa e si tira su qualche frase, qualche pensiero, nostro eppure inaspettato, non studiato con cura a tavolino? Così Elena Ferrante definisce l'esperienza nuova della scrittura su commissione, la collaborazione settimanale tenuta nel 2018 col quotidiano inglese The Guardian, 51 testi che spaziano dall'amore alla politica e all'italianità, raccolti e pubblicati da e/o: il titolo, L'invenzione occasionale, conserva lo stupore dell'autrice nello scoprire in se stessa «intuizioni improvvise indotte dalla necessità di scrivere», pensieri, parole, opere, «Sconnessi e riconnessi» grazie a letture ed esperienze passate. Il risultato in realtà è molto omogeneo; perché l'inconscio è un filo rosso potentissimo che lega le invenzioni occasionali in un sistema unico, i cui filoni principali sono l'identità, sospesa tra verità e finzione e la potenza del femminile.
La Ferrante svela di aver scoperto bambina il rapporto ambiguo tra realtà e immaginazione: «Sono stata una grandissima bugiarda, ho detto tutti i tipi possibili di bugie, mi venivano così vere che avevo l'impressione che non fossero bugie». Proprio la nostalgia di quelle bellissime bugie è una molla verso la narrazione, insieme alla scoperta, da ragazzina, della potenza della scrittura: «Ero un'adolescente timida, dicevo sempre sì, per lo più tacevo. Nel diario invece mi sfrenavo: raccontavo minutamente ciò che mi accadeva ogni giorno, eventi segretissimi, pensieri audaci». Il terrore che qualcuno leggesse questi pensieri la spinge a fare il salto verso l'invenzione: «Nella finzione sentivo di essere, io e le mie verità, un po' più al sicuro». Arrivando al punto di non riuscire a tracciare una linea di demarcazione tra verità e invenzione, perché lo sforzo di rimanere fedele al vero «non potrà prescindere dalla mia immaginazione, dalla ricerca di coerenza fantastica, dall'assegnazione di un ordine e un senso». Così anche una fotografia, vera, verissima, di un certo giorno durante l'adolescenza, diventa finta: «Lì è stata fotografata una me che è esistita davvero ma che non combacia con quella che ero. Lì ci sono io che manifesto il meglio di me... Da noi si è sprigionato un altro noi, felice in ogni cellula, e persino il nostro viso è diventato altro. Poi, come certe divinità acquatiche che si palesano solo per qualche secondo, ci siamo inabissate». Unica certezza nel confine incerto tra realtà e finzione è la sincerità che si deve sempre a se stessi, soprattutto nei confronti dei cattivi sentimenti: «Sono inevitabili e bisogna imporsi di confessarli... Da Agostino di Ippona in poi, parlare con feroce franchezza, non agli altri ma a noi, a volte addirittura salva».
L'altro filo che tiene insieme le rubriche è la potenza del femminile; a partire dal legame necessario, viscerale tra generazioni, madri con «Un cordone invisibile» e figlie con la «meravigliosa crudeltà delle ultime arrivate». La vita diventa un lungo viaggio fino ad accettare le somiglianze tra chi è venuta prima e chi ci seguirà: «Se tornare dentro mia madre era impossibile, possibilissimo era invece che fin dalla nascita lei fosse dentro di me. E dentro di me si trovasse anche quando mi battevo per sfuggirle e credevo di essermene liberata».
La potenza femminile, però, nota malinconica Ferrante, «non solo è soffocata ma per quieto vivere si autosoffoca». È una condizione in cui è facile diventare odiose agli altri e a se stesse. Per questo «mi sento vicina a tutte le donne» anche «le stronze. Ne sono piene la letteratura e la vita. Ma, tirate le somme, mi sento comunque dalla loro parte». Un'indulgenza che impiega anche nel campo del lavoro: «Non dirò mai a una donna regista: questo è il mio libro, questo è il mio sguardo, se ne vuoi trarre un film ti ci devi attenere». E così Maggie Gyllenhaal, che porterà sullo schermo La figlia oscura, avrà massima libertà anche se tradirà il testo. «Ogni volta che una di noi prova a esprimersi, dobbiamo augurarci che la sua opera sia proprio sua e riesca bene». Diverso l'atteggiamento con un uomo «ha da qualche millennio un immaginario di genere potentemente strutturato. Gli chiedo che rispetti il mio sguardo, che aderisca al mio mondo... Farà più bene forse a lui che a me».