Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

La nuova serie dei numeri primi

Autore: Gian Paolo Serino
Testata: D / La Repubblica delle Donne
Data: 8 dicembre 2010

Dalle più sconosciute lande toscane, quelle lontane dal glamour da ChiantiShire, a città dove «non comincia mai niente », ai sotterranei emotivi di un Salento che non sempre è un posto al sole. Sono proprio le ombre interiori di una generazione low-cost, arrendevole più che arresa, ad accomunare il gruppo dei migliori scrittori under 40 che debutteranno nel 2011. La riscoperta dei giovani made in ltaly però ha anche un suo lato business. Incoraggiati dal successo di romanzi come La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano o Acciaio di Silvia Avallone, che hanno sbancato al botteghino e ai premi letterari, gli editori danno la caccia all'esordiente. Così abbiamo letto, visto e sorvegliato in anteprima la nuova stagione delle passerelle di carta. Per separare gli scrittori autentici dai debuttanti per niente allo sbaraglio, gli autori originali dai progetti editoriali studiati a tavolino. Da mesi, per esempio, si parla moltissimo di Barbara Di Gregorio considerata da Rizzoli «la nuova Silvia Avallane» (nelle parole rilasciate dal suo editor Michele Rossi). Tralasciando se sia un complimento o meno - Acciaio più che un romanzo è una bara senza maniglie - la "trama" è ancora top secret: tanto che nei siti di vendita libri online (che di solito raccontano in anteprima anche i libri più attesi) si trovano soltanto titolo e autrice. A volte l'assenza di battage mediatico è una tattica editoriale comprensibile, vedi: Le giostre sono per gli scemi (il titolo del libro). Un vero Luna Park è quello che racconta Fabio Genovesi nel suo Esche vive, in uscita a fine gennaio per Mondadori: la (ri)scoperta di uno dei talenti più poliedrici e ironici del panorama narrativo italiano. A tempo perso insegna anche italiano ad alcuni miliardari americani in giro per gli States. Nel 1998 è uscito con Versilia Rock City (Transeuropa) un non-esordio, dal momento che è passato quasi del tutto inosservato. In Esche vive, titolo che allude alla condizione esistenziale dei protagonisti, racconta la vita di un paesino della profonda provincia pisana attraverso lo sguardo di tre giovani. C'è Fiorenzo di Maglione, orfano di madre, che ha perso una mano a quattordici anni per un petardo. Per lui «quello che manca conta molto di più di quello che hai»; Tiziana, plurilaureata e collezionista di master, che rifiuta proposte di lavoro da tutto il mondo per animare il locale informagiovani, frequentato solo da anziani. E infine Mirko, campioncino di ciclismo che il padre di Fiorenzo ha deciso di adottare dal profondo Molise vedendo in lui il nuovo Bartali. Sullo sfondo paesi che non sono indicati nei depliant turistici, non luoghi della Toscana che potrebbero essere in Texas o in Alabama. Quella provincia che Luciano Bianciardi già negli anni '60 chiamava «Kansas City » e che Genovesi racconta così: <<Molti di questi paesi cercano di essere città di qualcosa, qualsiasi cosa, e allora si specializzano nei campi più folli. C'è Perignano, città del mobile, dove lo stradone principale è di mobilifici giganteschi e vetrine infinite con mobili e mobili a non finire, roba che in confronto l'lkea è un ripostiglio. C'è poi l'impareggiabile esempio di Peccioli, nell'Alta Valdera, che nell'88 aveva una discarica altamente indesiderata. Invece di chiuderla l'hanno ampliata e moderniuata. l cittadini del paese, in compenso, pagano tasse comunali risibili, sono esenti da ICI e le rette per gli asili e le scuole sono clamorosamente più basse che altrove>>. Testimonianza di una generazione che ha perso la direzione perché «Non è facile essere nati in un paese e ritrovarsi a invecchiare in una specie di hangar». Ambientata, invece, in un Salento fantasma è la storia che racconta G iuseppe Merico in lo non sono esterno (in uscita a febbraio per Castelvecchi): un ragazzino viene segregato dal padre nella cantina di casa e nei sotterranei della sua anima impara ad amare l'uomo che lo tiene prigioniero e a perdonarlo. In un continuo alternarsi di flashback si ripercorre il periodo che lo ha portato alla prigionia, in un succedersi di fatti che si svolgono in una periferia desolata, tra il deposito di uno sfasciacarrozze, una tangenziale e i binari dove corrono i treni. Salentino di nascita, Merico vive a Bologna. Ha tutti i numeri primi per diventare lo storyteller che manca da molto in Italia. Il suo romanzo è duro, eppure capace di sconfinata tenerezza, scritto secondo un registro variabile, ora pulp, ora intimista e realista. Un esordio fulminante perché racconta la tentazione di chi vuole diventare adulto in un mondo "adulterato". E sorprendente è anche l'uscita della ventitreenne Viola Di Grado, nata a Catania nel 1987, con Settanta acrili­ co trenta lana: un romanzo che colpisce per una scrittura che ricorda la forza narrativa del Kitano immersa in una vasca di acqua gelata di poesia alla Bjòrk. Contaminazioni cinematografiche e musicali che non tolgono nulla all'originalità ma scandiscono il ritmo di una storia solo in apparenza di tristezza infinita. Il romanzo racconta del rapporto tra Camelia, rimasta orfana di padre giovanissima, e la madre Livia: una sorta di attrazione "fetale", una morbosa dipendenza alienata che le rende straniere in terra straniera. Perché la vicenda è ambientata a Leeds, Inghilterra, «una città in cui non comincia mai niente», immobile in una sorta di limbo vittoriano, in un lungo inverno senza fine dove le uniche luci sembrano essere quelle delle coscienze al neon del mondo esterno. Nella loro casa cadente si mette in scena un apparente inferno domestico di paranoie e ossessioni: Livia fotografa ossessivamente buchi nei tavoli e nelle tende e così via, Camelia invece traduce manuali di istruzioni per elettrodomestici, ossessionata dall'oblò della lavatrice. Un mondo freddo e silenzioso, scandito dal tempo immobile di un dialogo muto di sguardi, dove la bellezza sembra esclusa. Perfino i vestiti, da qui il titolo, sono «deturpati, tagliuzzati, contaminati con materiali estranei e maniche in più»: una chirurgia antiestetica, racconta l'autrice, una «forma di ribellione alla compattezza del mondo degli altri, come lo si percepisce quando si soffre. La moda è l'espressione più immediata della condivisione di un'identità. Per Camelia indossare i vestiti storpiati significa ribellarsi in modo masochistico a un mondo da cui si sente esclusa. L'inferno del settanta acrilico trenta lana è il luogo deforme del presente, in cui ogni cosa è del colore sbagliato». Per gli editors di e/o - che mandano in libreria il romanzo a metà gennaio tornando a pubblicare autori esordienti - Viola Di Grado è «dark come Amélie Nothomb e letteraria come Elena Ferrante>>. Paragoni che lusingano l'autrice, laureatasi a Torino in Lingue Orientali, vissuta per molto tempo tra Cina e Giappone e ora a Londra per specializzarsi in filosofie e religioni cinesi e giapponesi. Racconta di essere stata influenzata nella scrittura proprio dagli ideali estetici dell'Oriente: il mano no aware la «tristezza delle cose», e lo yugen, la «bellezza che resta nascosta>>. Sono proprio questi due ingredienti, oltre alla· sensualità della scrittura, a rendere il libro di una tristezza maieutica. Per ricordarci che un romanzo triste non è mai triste come la vita.

Un altro mistero, quello degli incubi d'infanzia, è al centro dell'esordio della trentenne romana Lorenza Ghinelli con Il divoratore (nelle librerie per Newton Compton dal 20 gennaio). Protagonista un bambino autistico che riesce a comunicare con il mondo solo attraverso i disegni. Diventerà testimone chiave di misteriose scomparse in un romanzo tra il thriller e l'horror che, come sottolinea lo scrittore bestseller del genere Valerio Evangelisti nell'introduzione, «riesce a fare apparire lineare ciò che è complesso, a farci "scivolare" su frasi
in cui ogni parola è in realtà studiata. Come nei film di Hitchcock, ci si trova immersi in girandole di virtuosismo senza che ce ne accorgiamo, e senza che ciò leda il dipanarsi della storia e la felicità della lettura».