Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

La donna in rosso

Autore: Alessandro Moscè
Testata: Il Foglio
Data: 5 settembre 2019

Nel recensire Il secondo cavaliere di Alex Beer, scrivemmo che i romanzi che tornano indietro nel tempo e illustrano un’atmosfera epocale sono quelli che vivono due volte: nel presente del lettore e nel passato di un’epoca ricostruita con accortezza, dopo un attento studio del contesto storico e dei suoi mutamenti. Beer torna con la serie dell’ispettore Emmerich, alle prese, ancora una volta, con un caso nella Vienna oscurata tra le due guerre. Siamo nel 1920 e la situazione economica risulta molto grave. I viveri severamente razionati, mentre scarpe e abiti sono merce rara. La fanno da padrone la disoccupazione e la povertà, al punto che all’elettricità si sostituiscono le lampade ad acetilene. Un poliziotto viene assassinato e le indagini prendono una certa piega. L’ispettore distrettuale Emmerich, che si rifà a Dio, alla patria e alla speranza, occupandosi noiosamente di riordinare gli incartamenti d’ufficio, non condivide le prime convinzioni che si tramutano in certezze fallaci sull’individuazione del colpevole. Al di là della singola vicenda, un vero giallo, La donna in rosso è strutturato in modo tale da aprire uno squarcio di luce non solo sull’accadimento dai toni macabri, ma sulla stessa Austria che sciopera, attesa da una ferrea dittatura militare. August Emmerich è uno strano personaggio al quale una ferita di guerra sta irrigidendo la gamba destra che riesce difficilmente a piegare. E’ in preda ad acuti dolori al ginocchio, ma non disdegna di seguire il suo infallibile fiuto, a partire dalla maledizione scesa sulle riprese di un film. Emmerich farà una terribile scoperta: cosa nasconde il tempio di Pandora, in una Vienna dopo si verificano numerosi delitti? “La popolazione si era imbarbarita, la fame e la miseria esercitavano i loro effetti. Il numero dei furti con scasso non era mai stato così elevato, la gente si inventava sempre nuovi e folli modi per arraffare soldi e rubare il rubabile: maniglie di porte, panchine, monumenti funebri”. Le atmosfere del libro intercalano immagini atmosferiche e fotografie di interni, misteri addensati come nuvole, fatti da collegare. Alex Beer scrive con una prosa snella ma non arida, rapida ma non impassibile. Ha personalmente affermato che alcuni luoghi citati sono ispirati alla realtà, come ad esempio la Meldemannstraße 27 dove si trovava un pensionato maschile divenuto tristemente famoso per aver ospitato, dal 1910 al 1913, nientemeno che Adolf Hitler. L’ispettore deve intervenire con tempestività per evitare altre morti, mentre là fuori, nella capitale ingrigita, la contrapposizione ideologica tra i partiti aumenta e fa paura.