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Settanta acrilico, trenta lana - Viola Di Grado

Autore: Carlotta Vissani
Testata: Il Mucchio
Data: 29 gennaio 2011

La catanese e giovanissima Viola di Grado ha talento da vendere. l vestiti, nel suo fulminante esordio, sono il simbolo dell'anticonformismo, dei moti ribelli, del rifiuto all'omologazione. Sono capi tagliuzzati e poi riassemblati, informi, difettosi, della taglia sbagliata, dalle fogge inusuali, asimmetrici, mai alla moda. Viola racconta la storia di Camelia, traduttrice di manuali per elettrodomestici residente a Leeds, cittadina inglese in cui non accade mai nulla. Ragazza stramba, orfana di padre, alle prese con una madre anoressica di corpo e parole, ammutolita dal dolore della perdita, ossessionata dalla fotografia, una polaroid sempre al collo per immortalare ogni genere di foro/buco, dettagli di una vita casalinga confinante con un cimitero, velata di muffa che è patina che ricopre anche i cuori. Le due si parlano attraverso gli sguardi, mentre le giornate scorrono in una fissità emotiva che non conosce spinta al rinnovamento. Camelia si imbatte nel negozio di vestiti usati del cinese Wen, di cui si invaghisce e grazie a cui impara la bellezza degli ideogrammi cinesi. Una lingua complicata, un mondo che è fatto di simboli e sfumature impercettibili, idioma lontano dal mondo occidentale che una volta abbracciato diviene pelle e battiti. L'amore però non conosce codici e Wen sembra essere schiacciato da freni inibitori e limitazioni fisiche, mentre il fratello, meno intrigante ma più sciolto, diventa terreno fertile su cui sperimentare le voglie del corpo. È brava Viola, è originale, autentica, riconoscibile. La sua penna racconta il fascino della malinconia, la bellezza della tristezza, il linguaggio incomprensibile dell'anima. Lo fa con stile poetico, servendosi di contaminazioni con la musica di Bjork e la cinematografia struggente di Kitano o del coreano Kim Ki Duk. Ogni pagina è una danza, un fremito d'ali.