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Libri del mese

Autore: Luca Miele
Testata: Il Regno
Data: 6 ottobre 2019

Il «Corpo» urla, piange, mangia. Vampirizza tutte le energie, ogni attenzione, colonizza ogni pensiero. Il Corpo è un piccolo sovrano insediato tra le mura domestiche. Più precisamente, in una culla. Il Corpo – co-protagonista del romanzo d’esordio di Silvia Ranfagni – è un neonato. A pagina 59, ha un nome, Arturo. Ma solo a pagina 105, il Corpo assurge alla dignità di «Figlio», condizione conquistata con l’acquisizione della «parola».

Un’urgenza sembra essersi impossessata delle pagine di tanta letteratura italiana: accogliere i nuovi corpi e, al tempo stesso, riscattare la maternità, districarla dalla melassa soffocante che la ricopre. In una formula: liberare la madre dalla Madre. Ed esplorare la dimensione oscura, spesso tragica, della maternità ma, anche, svelarne le possibilità inedite. Non è un caso. Il nostro è un tempo che ha conosciuto un cambiamento epocale: lo sganciamento della procreazione dalla sessualità. Se la nascita è stata ormai da tempo medicalizzata, oggi si compie un’altra dislocazione: l’affidare all’intervento bio-tecnologico il momento aurorale della generazione. «Da una sessualità senza generazione – ha scritto Salvatore Natoli – si sta passando a una generatività senza sesso».

La coppia, il desiderio, la famiglia: tutto è investito da questa trasformazione. Quello che era natura appare confiscato dalla cultura: quello che apparteneva alla necessità (e come tale percepito come immutabile) è sempre più affidato alla scelta. Dentro questo paesaggio cedevole si è materializzato un nuovo «personaggio», colto con grande lucidità da Marcel Gauchet: «Il bambino è diventato un figlio del desiderio, del desiderio di un figlio. Era un dono della natura o il frutto della vita attraverso di noi. D’ora in poi non potrà che essere il risultato di una volontà espressa, di una programmazione, di un progetto». Un progetto sempre più spesso delegato alla scienza (e corteggiato dal profitto).

È quello che accade in Corpo a corpo. Il Corpo è il figlio di una decisione solitaria che si sostanzia in una procedura bio-tecnologica. E che sembra risolversi in una spersonalizzazione della generazione. La maternità raccontata da Ranfagni è una trama di giornate «passate a nascondersi dal Corpo» e di cadute nel «pozzo nero» della disperazione: «Guardando il Corpo non provi gioia ma angoscia, perché ciò che sei stata non sei più, ma non riesci a esser altro».

Con grande coraggio, l’autrice accoglie nello sguardo di madre la possibilità deflagrante del disamore che non amputa la maternità ma la restituisce alla complessità della esperienza umana: «Tu hai fatto un figlio che non riesci ad amare», si confessa la protagonista.