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Fra acrilico e lana Viola Di Grado gioca di metafora

Autore: Massimo Onofri
Testata: Avvenire
Data: 12 febbraio 2011

Davvero insolito questo Set tanta acrilico trenta lana, il convincente esordio di Vio la Di Grado, ventitreenne di Cata nia laureata in lingue orientali che studia a Londra. Siamo a Leeds, dove «l’inverno distrugge ogni al tra stagione col suo soffio gelido come fa il lupo con le case dei por cellini », e il cielo, a volte, può ap parire come «un mattatoio di nu vole carnose e sanguinolente», in uno dei posti più sordidi del mon­do: «Woodhouse Lane da una par te e Headingley dall’altra sono due luride cosce aperte che scendendo si congiungono in Christopher Road, la mia strada, punto di ma cabra convergenza di tutte le brut ture della razza umana». Tra tanto squallore, può capitare anche un uomo bellissimo: «trentadue denti trentadue volte perfetti, e capelli ondulati biondo scuro come le spiagge sui dépliant turistici, e na so sottile, e occhi blu scuro forma to XL». Chi parla è la giovane Ca melia, emigrata torinese da anni coi genitori, misantropa e idiosin cratica, col vizio d’immaginare le cose che le fanno male, la quale vi ve traducendo «manuali d’istru zione per la ditta italiana Gagliardi che fabbricava lavatrici», mentre raccoglie e deforma vestiti raccolti nei cassonetti. Il padre cronista è morto da poco insieme alla sua a mante, perché è finito con la mac china in un fosso. La madre – che ormai parla solo con gli sguardi – passa il tempo a fotografare buchi d’ogni sorta. Insomma: in princi pio fu la metafora. Come deco struzione persino sarcastica di usi e costumi, vertiginosamente colti vata sin dall’inizio (poi con meno ostinazione), in una lingua che sa giocare in egual modo coi lapsus e i refusi: «la mia vita non ce l’ha u na storia, di certo una storta, ma una storia no». E così fervida e e satta, nelle invenzioni, che certi eccessi – mettiamo «la carogna d’un gatto» finita in casa perché Camelia la vuole «usare come tap­petino di benvenuto» – servono al meno a ricordarci la giovanissima età di un’esordiente altrimenti troppo scaltra, troppo intelligente, troppo brava. Una metafora anche di situazioni: come interpretare, se non quali correlativi simbolici d’e sistenze storte e torte dal destino, le attività in cui si cimentano le due donne? Infine una metafora di codici e filosofia: se è vero che so no proprio gli ideogrammi cinesi a guidare la protagonista nella risco perta del mondo e di suoi nuovi si­gnificati. Dovrei dire qui del cinese Wen: col quale Camelia intrattiene un rapporto importante e non po co singolare. O del fratello di que sti, Jimmy, che coi vestiti recupe rati da Camelia ha molto a che fa re. Oppure dei colpi di scena finali, in cui anche la madre ha la sua parte. Se lo ricordo, è perché non si creda che Di Grado non abbia alcuna storia da raccontare. Il fatto è che alla storia noi dovremo ante­porre la trama: ma trama di segni e simboli, tessuta con rinnovato entusiasmo di lessico e sintassi.
Epperò non lo si dimentichi: le pa role valgono qui soltanto come l’ombra di un’oltranza della vita.