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La scrittrice: Laurence Cossé

Autore: Silvana Mazzocchi
Testata: La Repubblica
Data: 12 febbraio 2011

Laurence Cossé è convinta che uno degli ingredienti necessari per scrivere al meglio un romanzo sia la capacità di esplorare gli enigmi della vita reale e che, per vincere la sfida, sia indispensabile lavorare di cesello sul linguaggio, su ogni frase e parola cercando l'armonia, come nella musica. Scrittrice e giornalista Cossé, nell'arte di raccontare storie di successo, è maestra. In Francia, con i suoi romanzi, racconti e testi teatrali, ha scalato le classifiche e vinto numerosi premi di prestigio e, anche se respinge ogni tipo di ricetta precostituita, tiene a sottolineare che per scrivere ha sempre bisogno di un tema che la coinvolga, la irretisca e la appassioni. Tipo il potere declinato in tutte le sue forme, centrale in La libreria del buon romanzo, il best seller che lo scorso anno l'ha resa popolare anche in Italia, dove il filo conduttore è l'onnipotenza del marketing sulla cultura, con il predominio del profitto sui sentimenti. Ed è ancora il potere il motivo dominante nel suo nuovo libro, L'incidente, in uscita il 23 febbraio per e/o, che scandaglia l'ingordigia dei media nella società contemporanea, un sistema onnivoro che tutto può, fino a condizionare e a distruggere la vita di chiunque. E' l'incidente che il 31 agosto 1997 provocò la morte della principessa Diana nel tunnel dell'Alma, a Parigi, l'occasione ghiotta per indagare gli effetti che un evento tanto mediatico provoca in Lou, una ragazza qualsiasi che, senza colpe, si ritrova coinvolta nell'episodio. Non parla dei lati oscuri della morte di lady D, Laurence Cossé, non rivisita uno dei casi più controversi dell'ultimo decennio. Ne fa invece solo la premessa per immaginare lo sperdimento e la paura di Lou nel ritrovarsi immersa in una situazione più grande di lei e per indagare la fragilità di una vita investita dalla ferocia mediatica. L'incidente intreccia la morte di lady Diana con l'incubo privato di una ragazza qualunque. «Quella notte qualcuno, al volante di una Uno bianca, incrociò per caso la Mercedes che andava a tutta velocità e, non riuscendo ad evitarla, finì per strusciarne la carrozzeria; non si fermò, anche se non poteva sapere chi c'era in quell'auto, né che cosa fosse successo. Lo apprese certamente dai media poche ore dopo, eppure non si fece vivo e di lui o di lei non se ne seppe più nulla. Insomma, è un fatto che l'unico testimone oculare dell'incidente in cui morì la principessa Diana, l'evento più mediatico della nostra storia, scelse di dileguarsi. Ecco, io immagino che questo qualcuno sia Lou». La voracità dei media e dei paparazzi furono per certi versi responsabili della morte di Diana, è la paura di quella stessa brutalità a spingere la protagonista dell'Incidente a fuggire? «Il dettaglio della Uno bianca è tratto dalla realtà, il resto della mia storia è fiction al 100%. Lou non scappa dalla polizia ma dai media, dal rischio di vedersi sbattuta sugli schermi di mezzo mondo e sulle prime pagine dei giornali. Si difende e si nasconde perché sa che, una volta scoperta, diventerà per tutti la ragazza che ha provocato la morte di Diana, la vittima sacrificale di una pubblicità planetaria». Nel suo romanzo c'è una buona dose di suspense; ci si chiede continuamente come andrà a finire.. «E' una suspense particolare. In L'incidente il "colpevole" si conosce fin dalla prima pagina, poi il racconto va avanti con lo sguardo di Lou. La tensione consiste nel sapere se la ragazza riuscirà nella sua fuga. Una fuga che, in fondo, è solo giustizia perché lei è innocente. Mi sono identificata con la protagonista, mi sono chiesta cosa avrei fatto io in una situazione tanto straordinaria. C'è una logica ferrea nel modo di agire di Lou, nel suo volersi sottrarre a tutti i costi al circo mediatico». L'incidente è anche una rilettura della morte di Diana? «Una rilettura no, piuttosto volevo considerare l'evento sotto una luce diversa e mi sono ser-vita di quel 31 agosto del '97 solo come dato di partenza. Mi interessava il punto di vista di qualcuno che, piombato per caso in un contesto eccezionale, sceglie di fuggire, di defilarsi, riuscendo alla fine perfino a sparire. Non ho voluto riaprire il caso della morte di Diana, ma anzi chiuderlo con una questione a mio parere ben più interessante: la precarietà della vita di ciascuno di noi». Con i suoi libri ha vinto molti premi, segue regole particolari nello scrivere? «Non ho ricette, racconto solo ciò che mi appassiona. In questo caso il peso enorme, determinante dei media nella nostra società. Un dominio assoluto che mi preoccupa e che considero una minaccia. In un buon libro però non c'è solo la trama. Io rifletto sempre molto sulla struttura globale del romanzo. In letteratura molto dipende dalla forma e io, per ogni storia, scelgo lo stile più adatto, un ritmo adeguato e una progressione narrativa particolare».