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La mia notte con Elena Ferrante

Autore: Stefano Massini
Testata: La Repubblica
Data: 6 novembre 2019

Dire che ho trascorso una notte con Elena Ferrante potrà anche innescare doppi sensi, ma risponde al vero. Forse più corretto sarebbe dire che mentre tutti dormivate, io leggevo per voi il nuovo romanzo La vita bugiarda degli adulti (edizioni e/o). Promosso? Bocciato? Un attimo, vi prego, con calma. Anche perché ci sono libri che meritano di essere raccontati ancor prima di leggerne l'incipit, correndo a precederli la cronaca dell'attesa, della febbre, dei riti inusuali che reclamano. Io, per esempio, era dal 1994 (i giorni disperati dell'esame di maturità), che non anticipavo l'alba legato alla sedia come l'Alfieri e inchiodato a un libro, con tutto il repertorio dei rimedi studenteschi contro la cascaggine, dall'alleata caffettiera alla sciacquata fredda sul viso. Ma si tratta pur sempre del caso editoriae dell'anno, dunque come sottrarsi al tour de force della lettura in anteprima? Tanto più se, a rendere intrigante l'impresa, c'è quel brivido da carboneria con cui l'editore ha condito la procedura: invio del file nottetempo, all'ora dei fantasmi, con preventivo rilascio di password per decrittare il testo, neanche fossero i codici di lancio d'un ordigno atomico.

Eppure, se masse di consumatori si accampano di notte all'agghiaccio per il nuovo iPhone, se centinaia hanno assediato l'Ikea di Carugate pur di aggiudicarsi all'apertura i pezzi del designer Abloh, allora che c'è di male se finalmente è un'opera letteraria a fare i conti con il cerimoniale della vigilia? Dopo le file di lettori in attesa di Harry Potter o del nuovo Twilight, si sappia che in Italia c'è qualcuno che - senza maghi, vampiri e assortiti amorazzi - riesce a rendere fenomeno commerciale una narrazione adulta, viscerale, col Dna della Ortese e della Morante, il cui fulcro affonda nel dolore estremo del vivere. Con questa disposizione d'animo attendo che la mia email lampeggi, consegnandomi il neonato come la cicogna. E così avviene, alle 00:54. Per cui iniziamo, Eduardo avrebbe detto ha da passà a' nuttata, dopodiché vedremo se il romanzo vale la veglia. Per fortuna, il primo capitolo è promettente. Il secondo e il terzo tengono il passo.

Al quarto (sono più o meno le 3:00, per strada spazzini e metro-notte), mi dico che chi contava di reprimere, alla prova dei fatti, una Ferrante addomesticata, dal successo mainstream, può serenamente deporre l'ascia, che nessun addebito sarà da imputare al upgrade mediatico. La vita bugiarda degli adulti mi è parso un’Educazione sentimentale in cui il Moreau flaubertiano è declinato al femminile, e si affonda il bisturi fra le ipocrisie di una moderna borghesia intellettuale napoletana: l'adolescente protagonista, Giovanna (classe 79), svolge il suo tormentato percorso di iniziazione che la obbliga a disilludersi sulle figure adulte intorno a lei, e non è un caso che tutto inizi con il desiderio di far luce sulla zona d'ombra del parentado, quella zia Vittoria che di fatto mette in crisi il sistema di pesi .e contrappesi della famigliola in via san Giacomo dei Capri. Giovanna cade, si rialza, sbanda, corregge la rotta, e così progressivamente delimita il peri-metro di sé, procedendo per disperata sottrazione. Per cui, se ai ragazzi di Moravia toccava far propria l'indifferenza come requisito fon-dante della comunità adulta, per la Ferrante sembra che il patto si regga sulla mistificazione: a Giovanna, Roberto, Angela, Ida, Tonino e i numerosi altri di questa meglio gioventù, è prescritto che vivere è un'ingegneria della menzogna, di cui è simbolo quel braccialetto passato di polso in polso sulla cui reale storia si rettifica in continuazione per tutto il corso del romanzo.

Per anni la nostra educazione si è basata sul paradigma collodiano per cui Pinocchio diventa bambino vero solo quando smette dl mentire, ma qui i poli si ribaltano, e Giovanna si sentirà matura solo dopo aver tradito a più livelli la fiducia altrui, solo dopo aver imparato a truccarsi l’anima come la faccia, senza «sembrare una maschera dì Carnevale» come quando usava malamente i cosmetici della madre. Ed è un'ulteriore tappa nel racconto dell'autrice sulla nostra redenzione dannata, sui baratri cui ci spinge il consesso umano. Insomma, che piaccia o no il mood de L'amore molesto o della tetralogia, io qui l'ho ritrovato in pieno, con la consueta durezza da sismografo emotivo, con quel tipico tratto da arrembaggio letterario per cui l'intimità di chi legge si trova violata senza preavviso, senza preambolo, a ripristinare la brutale franchezza con cui in fondo ti parla la vita. Se accettiamo di definire così la cifra espressiva dell'autrice, l'ho riconosciuta nel libro: il verdetto prende forma più o meno alle 5:00 del mattino, mentre il fornaio all'angolo ha già acceso le luci dei retrobottega, e io varco il traguardo di pagina 326. Mi accorgo solo a questo punto dell'immagine di copertina: due mani femminili che proiettano un'ombra, come a ribadire che siamo esseri molteplici, persi e disorientati fra divergenti rappresentazioni di noi. Ne discende che tutto, in fondo, implica una scelta linguistica, proprio come quella fra italiano e dialetto su cui il romanzo torna a più riprese, senza sorprenderci: è il nucleo pulsante del Ferrante-slyle, che di se stesso, fin dagli esordi, traduce ancora quel particolare affiato di spudoratezza e pietà, di inferi e riscatto, pugni e carezze, risolvendo il tutto in un'inconfondibile pedagogia dell'anima. E funziona.