Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Red girls: storia della famiglia Akakuchiba

Testata: Anatomia di un'indipendenza
Data: 21 novembre 2019
URL: https://anatomiadiunindipendenza.wordpress.com/2019/10/21/red-girls-storia-della-famiglia-akakuchiba/

“Red Girls” di Sakuraba Kazuki, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 2006 e che è valso all’autrice il Mistery Writers of Japan Awards, è stato recentemente pubblicato da Edizioni e/o. È la storia della famiglia Akakuchiba nell’arco di tre generazioni che vanno a coprire precisamente la seconda metà del secolo scorso e i primi anni duemila.

Punto di partenza per questo romanzo è Man’yō, figlia della montagna che, non si sa bene quando e perché, fu abbandonata nel villaggio che fa da sfondo a questa storia: Benimidori. Sposerà l’erede della famiglia più facoltosa e in seguito sarà conosciuta come la chiaroveggente della famiglia Akakuchiba. A raccontarci la storia di Man’yō e della figlia Kemari, è Tōko, la terza donna di questa storia, rispettivamente nipote e figlia, che nell’ultima parte del romanzo intraprenderà anche una ricerca meticolosa nel tentativo di dare senso al segreto che, in punto di morte, la nonna Man’yō le aveva rivelato.

Sakuraba Kazuki prima ancora di narrarci le vicende della famiglia Akakuchiba ci racconta la sua patria durante gli anni del secondo dopoguerra, quelli della ribellione giovanile e della disillusione comune, dei sogni infranti. Ogni donna di questa storia porta con sé non soltanto la propria storia, ma in primis quella del Giappone, di una società che comunemente si è portati a sentire come lontana e incomprensibile e che, invece, attraverso questo romanzo ho sentito terribilmente vicina – al di là delle differenze imprescindibili.

Il contesto sociale e storico è tratteggiato con dovizia di particolari dall’autrice, senza sfociare negli estremi, con uno stile fluido e ben articolato. Ciò permette al lettore di avvicinarsi a questa realtà e a immaginarla senza problemi, e soprattutto trovando facilmente punti di contatto con il mondo occidentale. È parte fondamentale di questo romanzo, senza la quale probabilmente non sarebbe possibile nemmeno provare empatia per le donne protagoniste, che è esattamente il passo successivo al conoscere la società giapponese durante la lettura.

Dalle donne della generazione di Man’yō ci aspettava che fossero buone mogli e madri, mentre gli uomini erano alle prese con i traumi della guerra e il processo tecnologico che si affacciava sempre più prepotentemente, soprattutto in ambito lavorativo – aspetto che viene descritto nel villaggio di Benimidori grazie alla presenza di due famiglie principali, quella dei Rossi proprietari della fonderia e quella dei Neri, fondatori del cantiere navale.

Kemari, invece, appartiene alla generazione dei ribelli e all’epoca delle rivolte, quando pian piano ci si rende conto che le conseguenze dello sviluppo fortemente voluto dalla generazione precedente si riserveranno su di loro e che dovranno rimediare a quanto fatto dai padri. Ci si oppone fortemente alle regole finora imposte, viste come assurde e insensibili, si vuole vivere a pieno e senza rimorsi, provare i sentimenti più estremi e l’ebbrezza pura data dal pericolo.

Infine Tokō, nata alla fine del vecchio secolo, incarna tutti i dubbi e le paure della sua generazione, o forse dovrei dire della nostra:

Non avevamo ambizioni, ci mancava la voglia di investire i nostri soldi per realizzare qualcosa di grandioso, quindi non eravamo neanche interessati a risparmiare per darci alla pazza gioia. Non riuscivamo a pensare di volerci affermare nella società, non al punto da essere privati di noi stessi. Non ci andava di chinare il capo senza convinzione o annuire contro la nostra volontà. Crescevamo a quel modo, eppure, caspita se era soffocante! In quel periodo mi è capitato più volte di pensare che in realtà avrei dovuto chiamarmi Jiyū, “libertà”, e mi sono sentita tormentata dall’angoscia. Non avevo di che preoccuparmi per quel che riguardava il mangiare e trascorrevo le mie giornate nell’ozio totale: potevo dunque dirmi libera? Che cos’è per noi la libertà?

Le ragazze della famiglia dei rossi sono donne come noi, con le quali ci si può facilmente identificare a seconda della generazione. Personaggi perfettamente delineati con la loro dose di paure e sofferenze che bloccano e mozzano il fiato, eppure sempre in grado di prendere in mano le redini delle famiglia, ognuna a modo proprio. “Red girls” è un romanzo intenso, ricco di storia e sentimenti, capace di commuovere, ma soprattutto una lettura molto interessante per chi, finora, non aveva mai avuto modo di approfondire la cultura giapponese.