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Perché ogni martedì quella signora s’infila nel letto di uno gigolò?

Autore: Massimo Carlotto
Testata: Tuttolibri - La Stampa
Data: 18 gennaio 2020

Ho voluto esplorare, attraverso il noir, la necessità di avere una doppia vita e ciò che accade a chi ha venduto il proprio corpo quando diventa vecchio

Nel maggio del 2017, al ritorno dal Salone del libro di Torino, incontrai in un ufficio postale della periferia padovana, un omino magro, sui sessantacinque, i capelli corti tinti di un nero corvino, piazzati come una corona su un bel volto pallido, dai tratti delicati. La riconobbi subito, nonostante il tempo trascorso e il travestimento.

Ci eravamo conosciuti una trentina di anni prima. Lavoravo in un cinema all’aperto, ospitato in un parco a pochi passi dalla famosa cappella affrescata da Giotto. Al termine delle proiezioni ci fermavamo a chiacchierare e a bere birra. Spesso si univa a noi una giovane e bellissima travestita che si prostituiva appena fuori del cancello. Talvolta capitava, quando il custode si stancava della nostra presenza, di tirare fino al mattino nel suo angusto monolocale. La ricordavo simpatica, arguta, ironica e quel giorno non resistetti alla tentazione di chiederle per quale ragione si conciasse da maschio.

Mi confidò di indossare abiti femminili solo nell’intimità del suo appartamento. «Una travesta che ha superato i sessanta è una vittima predestinata. È tollerata solo se è giovane, se è ancora in grado di stuzzicare fantasie. Ma un vecchio con la gonna e i tacchi risulta grottesco, offensivo».

Quando un gruppo di ragazzi l’aveva insultata e picchiata al grido di «Vergogna, vergogna!» al cospetto di passanti divertiti, si era arresa all’ineluttabilità di vivere la propria identità clandestinamente. Due nomi. Due guardaroba. Lunghe parrucche bionde per coprire «quell’orribile» taglio da maschio. Una crudele fatica.

Le offrii un caffè e poi l’aperitivo perché le ore passavano veloci al tavolo di un bar dove lei aveva deciso di raccontarsi perché: «Sei uno scrittore, mi puoi capire».

In realtà, in quel momento, non ero così certo di comprendere ma ero affascinato dallo spessore narrativo della sua storia e di quella collettiva di uomini e donne che si erano prostituiti in quegli anni nella mia città. Le chiesi di aiutarmi a rintracciarli per capire cos’era diventata la vita di quei corpi di sessanta, settant’anni che erano stati venduti, comprati, desiderati, quotati sul mercato.

La strada consuma le esistenze e la lista redatta quel giorno si ridusse non poco ma si rivelò sufficiente per intraprendere un viaggio nel «dopo» che mi ha costretto a fare i conti con tutte le declinazioni della sopravvivenza (con note di resistenza, ribellione e goffi tentativi di rimozione del passato) per affrontare una vecchiaia «altra», non contemplata dalla stragrande maggioranza della brava gente. In verità soprattutto da quella che vive nel nord del Paese, che sembra trovare ovunque motivi per esprimere il peggio in termini di tolleranza ma, stando alle statistiche, non intende rinunciare ad affittare e a consumare corpi. Fino a quando sono sul mercato, s’intende.

Ma la necessità di evadere dal quotidiano comporta un altro aspetto interessante: la doppia vita, intesa come forma di sopravvivenza e toccasana per non innescare conflitti familiari o di coppia dall’esito infausto. Le persone tendono a creare micro realtà totalmente clandestine o addirittura seconde vite. Il fenomeno è dilagante ma continuiamo a fingere che si tratti di casi isolati. Ho un quaderno a righe, comprato di fretta in una cartoleria di paese, in cui da una decina d’anni annoto minuziosamente racconti che riguardano questo genere di esperienze. E presto dovrò procurarmene un altro. Ogni volta che le rileggo mi convinco che qualcosa non funziona nel nostro modo di concepire la famiglia, la coppia, il sesso, l’amore. E il corpo. Il nostro mondo ne è ormai ossessionato.

Con questo sguardo sono nati i tre personaggi principali del romanzo: il signor Alfredo, travestita in privato, Bonamente Fanzago attore porno e gigolò a fine carriera e la misteriosa signora che ogni martedì, da ben nove anni, si infila nel suo letto dalle 15 alle 16.

L’episodio delittuoso che mette in moto il meccanismo narrativo è un po’ diverso dal solito, in qualche modo è banale e casuale come spesso accade nella realtà, ma utile per raccontare gli effetti collaterali sulle persone che a vari livelli ne sono coinvolte. L’idea era di rovesciare la centralità della relazione tra trama e delitto, privilegiando i punti di vista che di solito vengono sacrificati sull’altare dell’intreccio che deve per forza focalizzarsi su vittima, carnefice, indagini e luogo.

Da qualche anno desideravo prendermi gioco del genere. Non certo per stanchezza. Ne La signora del martedì, a garanzia di una solida continuità, appare un personaggio che i miei lettori, anche se non viene mai chiamato con il proprio nome, riconosceranno senz’altro.

Il fatto è che poliziesco e noir hanno avuto la straordinaria capacità di analizzare il reale, denunciare meccanismi e trasformazioni criminali, il ruolo e l’interazione delle culture mafiose con la società. Ma oggi, forse, è arrivato il momento di aggiungere altri elementi di approfondimento, riconsiderare ruoli e profili dei personaggi, superare i confini che il genere si è imposto per esplorare altri territori narrativi, anche in nome di un meticciato di linguaggi e di stili. D’altronde un rischio evidente è già stato rilevato da critica e lettori e cioè di reiterare la funzione di semplice testimonianza/denuncia, suggerendo l’impossibilità di sottrarci al dominio del crimine. Una sorta di estetizzazione della sconfitta della legalità, una rinuncia a contemplare la possibilità del riscatto. E non a caso, a mio avviso sbagliando, qualcuno teorizza la fine di un’epoca e il passaggio di testimone al romanzo famigliare (dietro la famiglia c’è il mondo…).

Non solo. Stiamo vivendo un momento difficile, complicato ma allo stesso tempo straordinario che merita di essere narrato. Sono convinto sia necessario accettare la sfida di usare il romanzo di genere per esplorare quei pezzetti di complessità che sfuggono alla logica giudiziaria, sbirresca o squisitamente criminale con cui si racconta l’eterna lotta tra bene e male.