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La signora del martedì

Autore: Damiano Verda
Testata: Thriller Cafè
Data: 20 febbraio 2020
URL: http://www.thrillercafe.it/la-signora-del-martedi-massimo-carlotto/

Massimo Carlotto è noto nel panorama del noir italiano soprattutto per i suoi romanzi che hanno per protagonista l’originale figura dell’Alligatore, investigatore privato originale e anticonvenzionale. La signora del martedì (che segue, a quattro anni di distanza, la pubblicazione del suo precedente romanzo Il turista) invece, sembra volersi distinguere proprio per la mancanza di un vero e proprio protagonista. Il primo personaggio a entrare in scena è Bonamente Fanzago, attore porno a fine carriera, ormai afflitto anche da seri problemi di salute. Non solo: a turbarlo è il fatto di essersi innamorato, forse per la prima volta. Il suo cuore, che credeva disincantato, batte per la “signora del martedì”, che viene a fargli visita alla scalcinata pensione Lisbona, dimora di Bonamente, ogni settimana: ogni martedì per la precisione. La signora però, chiarisce con freddezza di non essere interessata ad alcun coinvolgimento sentimentale. Bonamente è ferito, sperduto. Ci appare subito come una figura debole, incerta, incapace di tirare le fila di una vicenda destinata a complicarsi rapidamente. La signora invece è determinata, fredda, ma nelle prime pagine appare come evanescente, sembra volersi allontanare dal centro dell’attenzione e dell’azione. Soltanto più avanti capiremo che “la signora”, di nome Alfonsina Malacrida, porta le cicatrici di un passato difficile, e non vuole abbandonare una routine così faticosamente conquistata. Il punto di vista del narratore e del lettore appare quindi deliberatamente periferico, come a guardare i fatti da una certa distanza: senza distacco, ma con freddezza. E forse proprio in questo sguardo, così particolare, accompagnato da uno stile asciutto, denotativo e non giudicante, risiede l’elemento più originale e affascinante del racconto. Nessuno spazio per sentimentalismi, nessuna indulgenza. Non si arriva a leggere tra le righe di una tensione che si fa delittuosa la febbrile brutalità di un Ellroy, ma neppure fa capolino l’ironia tutto sommato partecipata di un Chandler. La figura più forte del romanzo, il misterioso amico di Alfonsina, è senza volto. Ne osserviamo la risolutezza, ma non abbiamo mai davvero occasione di conoscerlo, di guardarlo negli occhi. Sappiamo soltanto che ai piedi, immancabilmente, indossa i suoi stivali texani. E con questo punto di vista sempre ben ancorato al terreno ci troviamo, pagina dopo pagina, a domandarci: come andrà a finire? Prevarrà il cinismo o la pietà? Non c’è bisogno di interrogarci sui fatti: sappiamo fin dal principio chi ha commesso il delitto, e perché. Il punto è: sarà scoperto? E chi potrà farlo, lavorando su quali indizi? Dal punto di vista del giallo in quanto tale, il meccanismo ricorda quindi quello della celeberrima serie tv “Il tenente Colombo”: non si osserva un mistero, ma un’indagine e il tentativo di sfuggirvi. In questo caso però, non c’è nessuna figura in qualche modo normalizzante a prendere, progressivamente, il centro della scena. Non si intravvede un tenente apparentemente sbadato e in realtà molto scaltro a mettere ordine nel caos, in nome della verità e della giustizia. Si procede in ordine sparso, cercando di salvare innanzitutto se stessi. A colorare un panorama che rischia di farsi esasperatamente nichilista intervengono, a sorpresa, quasi loro malgrado, i comprimari. È nei piccoli gesti, da cui trasuda talvolta un’umanità quasi inconsapevole, dei personaggi secondari, perfino delle comparse, che si trova respiro. E a ben guardare, perfino una qualche prospettiva, un’ipotesi di futuro non favolistica, né banale.