Camelia vive con la madre Livia a Leeds, “dove l’inverno è cominciato da così tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c’era prima”. Sta in una casa vecchia e ammuffita a due passi dal cimitero abbandonato. Il suo mondo si è fermato un giorno di dicembre di qualche anno prima, bloccato per sempre nel momento della morte del padre, avvenuta in un incidente d’auto quando si trovava insieme alla sua amante. Anche la vita di sua madre si è fermata lì, nessuna delle due ha la forza di superare il trauma. Hanno smesso di uscire, di parlare, di cercare il contatto con la gente. Tra di loro comunicano solo attraverso gli sguardi, che diventano frasi, affermazioni precise, richieste, rimproveri, suppliche. “Smisi di parlare neanche fosse un problema di sigarette. Imparai a bloccare le parole come si fa con gli altri sconvenienti rumori del corpo”.
Camelia, ormai incapace di affrontare il mondo esterno, abbandona gli studi all’università. Riesce a trovare lavoro come traduttrice di manuali d’istruzioni per lavatrici dall’italiano all’inglese, almeno può racimolare qualche soldo per poter tirare avanti insieme alla madre. Livia, infatti, passa il suo tempo chiusa in casa a fotografare buchi di ogni tipo, quello del tavolo, quello del soffitto, quello dello scarico; non è più la splendida donna che anni prima incantava col suono del suo flauto. Si è trasformata in un essere animalesco dipendente dalle cure della figlia.
Ma un giorno per Camelia sembra aprirsi la possibilità di tornare a vivere. Incontra Wen, un ragazzo cinese disposto a insegnarle la sua lingua, e si innamora di lui. Riprende a parlare, a uscire e i mesi ricominciano a scorrere. Lo studio del cinese la conduce dall’anoressia verbale alla bulimia verbale e quelle parole che prima considerava contrarie alla vita acquistano ora un nuovo fascino e un euforico potere comunicativo. Ogni ideogramma racchiude in sé molteplici parole che investono ogni cosa di nuovi e impensabili significati.
Ma a Leeds non esiste la speranza, e la lotta per salvarsi assume la forma di uno scambio di ruoli circolare che finirà per risucchiare lo stesso madre e figlia nel loro vuoto.
Un ottimo esordio per la ventitreenne Viola di Grado, sicuramente la più originale tra i giovani autori italiani. Una scrittura nuova, insolita che dimostra un dominio maturo del linguaggio e della narrazione. Uno stile ricco di metafore, iperboli e sinestesie attraverso il quale prende forma un personalissimo universo dark e carnale, in cui tutto è travolto dall’ossessione della protagonista per la morte e il sesso. La morte del padre, quella apparente della madre, quella di Leeds e quella che Camelia vorrebbe per sé; il sesso clandestino tra il padre e la sua amante, quello che Wen le rifiuta e quello che le offre Jimmy. Ogni cosa sprigiona molteplici immagini e si definisce con nuovi e più potenti significati, come negli ideogrammi cinesi. Fin dalle prime pagine si è totalmente rapiti dal linguaggio, molto più che dalla storia in sé. Il lettore rimane spiazzato e affascinato. E il linguaggio invade tutti i livelli del romanzo, si infiltra ovunque, dal singolare stile narrativo dell’autrice alla storia con gli sguardi parlanti tra Camelia e la madre, i significati degli ideogrammi cinesi e il lavoro di traduttrice della ragazza. Un primo romanzo che promette altri sicuri successi futuri per l’autrice.