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A tu per tu con l’autore

Autore: Laura Salvadori
Testata: Thrillernord
Data: 26 marzo 2020

Oggi, come undici anni fa, il pubblico ha dato un riscontro più che positivo al tuo romanzo. Secondo te lo ha fatto negli stessi modi, manifestando gli stessi sentimenti e esternando gli stessi pensieri rispetto al 2009? O con qualche discrepanza?

La verità è questa: “I Cariolanti” non mi ha mai lasciato. Oggi ricevo più riscontri rispetto a undici anni fa (messaggi, mail eccetera), ma su Bastiano c’è sempre stato un grosso affetto – era stata fatta perfino una pagina che invocava la ristampa, chissà che fine ha fatto…

Parlaci di come è nato il tuo romanzo “I Cariolanti”. Come è venuto in mente a un ragazzo poco più che trentenne di raccontare la storia di Bastiano, un derelitto, un emarginato, vittima della Storia e del suo tempo, senza futuro e senza speranza, e di darla in pasto a un pubblico dalla pancia piena che non ha memoria né sensazione di cosa sia vivere a stento, di stenti e di espedienti?

Volevo fare una storia sulla «fame». Quella atavica, per la sopravvivenza. Che si trasformasse poi in fame di affetti, vita, un posto nel mondo. Cercavo la bestialità pura, il confronto con la natura. Non è casuale l’ambientazione (la mia terra – ma la terra di tutti, e non solo in Italia); non è casuale il momento storico. Tra le domande di fondo: come impatta questa roba in quest’epoca? Che alla fine si trova a una distanza minima dai fatti raccontati nel libro (l’incipit fotografa Bastiano cent’anni or sono; si chiude nel ’61). Quel mondo lontanissimo. Un momento fa. E come cambia l’idea di «fame», oggi.

“I Cariolanti” viene accostato, nelle recensioni che in questi giorni affollano il web, a una moltitudine di aggettivi. I più ricorrenti, per quel che ho visto (e alcuni di questi li ho utilizzati anch’io nella mia recensione per Thriller Nord) sono: potente, crudo, doloroso, agghiacciante, ipnotico, nero, primitivo. Come lo descrive il suo autore, in poche immagini?

Destabilizzante, se posso. Bastiano vorrebbe incarnare la parte inferiore di noi, quando siamo messi all’angolo per davvero. Le reazioni istintive, le interazioni simboliche, spirituali. Quel mio personaggio si “forma” in una specie di bunker sottoterra durante la Prima guerra mondiale, poi va nel mondo. Ci prova. Ci prova in tutti i modi a prendersi una fetta di vita per sé, ma trova un luogo ostile, con uomini spesso più belve delle belve feroci. Non è un tema che a varie temperature riguarda un po’ tutti?

Bastiano è un catalizzatore di emozioni contrastanti. È capace di straziare gli animi delicati, far inorridire, scandalizzare. E al tempo stesso suscita compassione, empatia, pena. Quali sono i tuoi sentimenti verso Bastiano? E quelli che hai voluto suscitare nel lettore?

Esatto. Penso che il punto del romanzo abiti proprio da quelle parti: com’è possibile provare empatia per un personaggio che commette atrocità indicibili? Il flusso di coscienza – in gran parte – usato per raccontare le vicende vorrebbe portare il lettore in un certo giro dei pensieri, in un background emotivo particolare. Con l’obiettivo di scardinare paradigmi, far tremare i pavimenti etici e morali. (Io, da lettore, quando mi fanno questa cosa ringrazio a piene mani: si aprono prospettive nuove, mi scollano dal me-qui-ora. Quando leggo libri che sono bagni nella lava aprirei un santuario all’autrice o all’autore. Parlo di quelle storie che non ti pettinano; anzi, ti pugnalano alle spalle.)

L’ambientazione del romanzo è molto coinvolgente e io, da toscana doc, ne ho colto chiaramente la voce, i suoni e gli odori della terra e quelli del sangue e del sudore dei suoi abitanti. Lo stesso linguaggio che utilizza Bastiano è un chiaro richiamo alla Toscana, che sebbene sia quella del secolo scorso, è decisamente riconoscibile nella scelta delle parole che hai utilizzato. Cosa c’è di te, dei tuoi ricordi, ne ”I Cariolanti”?

Tutto. Nel senso ancestrale del termine. C’è il richiamo della terra ingrata (che amo forte, fortissimo!) da cui vengo; ci sono l’ignoranza, l’amarezza sofisticata e addirittura erotica del soffrire; l’ironia. C’è uno scenario che non è la tavolozza approntata per le logiche di una vicenda ma parla di sangue, viscere, gioie fulminanti, aspirazioni, individuazione del Sé a tutti i livelli. In tre parole: Bastiano sono io. In quell’ipotesi romanzata ed estrema. Comprese le storture. Che sono le storture di un luogo, le interiorizzazioni di quell’humus che dicevo prima. Bastiano è onesto. Forse è per questo che in qualche modo lo accogli. O lo rigetti.

Bastiano è un personaggio che provoca il lettore e lo costringe in qualche modo a schierarsi. Con lui o contro di lui. Bastiano, così scomodo ma anche intensamente genuino e trasparente, incarna l’uomo senza cultura e senza condizionamenti, depositario di una saggezza atavica che in molti casi lo porta ad alzare la mano contro i suoi simili. In diverse occasioni, durante la lettura de “I Cariolanti” ho pensato che Bastiano incarnasse l’eterna lotta tra istinto e ragione e ho tratto, chiaramente, l’impressione che egli stesse a indicarci che in ultima istanza è sempre l’istinto che ci governa e che determina le nostre scelte. Cosa ne pensi?

Come dicevo, l’obiettivo era mettere il lettore nei panni di un personaggio di quel tipo, con quel timbro, quell’indole, quella «fame» di mondo. Bastiano è il protagonista, suo malgrado, di scene crude. Mi interessava piazzare l’osservatore su quella traiettoria, metterlo sulla linea di una certa – sì, mi spingo fin qui – prova di compassione.

“I Cariolanti” richiamano alla mente “L’Uomo Nero” della nostra infanzia, quello “che ti tiene un anno intero”, per intenderci! (Mi riferisco a una filastrocca che da noi in Toscana veniva canticchiata ai bambini come ninna nanna e che, contrariamente allo scopo dichiarato per cui veniva intonata a mezza voce, metteva in guardia i bambini dai rischi della disobbedienza.) Questi esempi di insegnamento spicciolo che si nutrono della paura e dell’ignoranza di chi li ascolta, sono davvero gli unici mostri che condizionano la nostra vita?

Sono simboli. Tutti noi siamo costituiti da simboli – in modo più o meno cosciente. Per me la letteratura è bella quando va a toccare (anche) quella roba là; quando scardina, usa-distrugge determinate frequenze. Nella tua domanda ci sono gli indizi necessari: una ninna nanna (per far addormentare, mollare gli ormeggi eccetera); il mostro. È quest’ultimo che ci comanda, in tutte le sue accezioni e variabili (anche luminose).

Per finire, ci puoi raccontare quali sono i tuoi progetti futuri? Stai lavorando a un nuovo romanzo?

Ho in revisione il primo capitolo di una saga young adult. Sono in chiusura con un romanzo. Stiamo lavorando alacremente all’adattamento de “Le Case del malcontento” per una serie tv. E sempre per una serie tv c’è un altro progetto di cui ho scritto il soggetto (ma non ne farò un libro). C’è l’ipotesi de “I Cariolanti” in graphic novel. E un paio di sceneggiature di film che stanno girando. Poi con E/O stiamo mettendo a fuoco l’ipotesi di alternare i nuovi titoli con quelli della backlist. Insomma, allineare l’intero catalogo che mi riguarda. Sono in rilettura con vari romanzi cui tengo molto (“I Cariolanti” era tra quelli; a ieri esaurito e praticamente introvabile, ora è di nuovo sugli scaffali). Se il timone resta su questa rotta i prossimi potrebbero essere “Le nostre assenze”, “I sassi”, “Cento per cento”, “L’ingrato”, “Il canile”, “Never alone”…