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Tullia che sopravvive all’incuria e si fa grande

Autore: Laura Marzi
Testata: Il Manifesto
Data: 22 maggio 2020
URL: https://ilmanifesto.it/tullia-che-sopravvive-allincuria-e-si-fa-grande/

La riconciliazione: l’esordio letterario di Laura Mancini Niente per lei edito da e/o (pp. 224, euro 16.50) ruota intorno a questo tema fondamentale che prevede di accettare che l’esistenza dell’altro ci ferisce come nessun’altra cosa al mondo, scansarsi dal proprio orgoglio e scacciare le proprie ragioni. Queste Mancini le chiama «i tanti piccoli diavoli che mi abitavano dentro»: sono le personificazioni della rabbia, delle frustrazioni tutte legittime che Rosa, la madre, ha suscitato nella protagonista, voce narrante, Tullia.

IL ROMANZO si articola in trentadue capitoli che hanno per titolo una data e un luogo di Roma: il tempo e lo spazio definiscono infatti una vita, in questo caso quella di Tullia appunto. Nata in una famiglia di origini modeste, di quelle che a causa dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale fu sfollata, sorella di molti fratelli tutti meno abili e meno forti di lei, Tullia sopravvive. La lettura fin da subito rimanda a La storia di Elsa Morante. Sarà per l’aggirarsi spoglia della protagonista in una Roma selvaggia e indifferente, sarà per l’overdose di realtà che il libro di Mancini ci propone. Una delle conseguenze virtuose di un romanzo realista è che leggerlo significa prima di tutto incontrare delle storie prepotentemente umane. Il rovescio di questa medaglia è che le vicende umane possono essere di una tragicità piana, di una violenza asfittica, come nel caso di Tullia.

LA BAMBINA rinuncia ad andare a scuola, perché vittima del proprio senso di giustizia: di fronte a un atteggiamento profondamente scorretto della maestra che discrimina una sua compagna di classe menomata da una vista troppo debole, non solo Tullia lancia il calamaio addosso alla donna, ma le urla anche «Voi vi dovete vergognare». Si condanna in questo modo ad andare a lavorare, a iniziare a muoversi con la valigetta piena di spazzole e accessori per capelli contribuendo all’attività di venditore porta a porta di suo padre Giuseppe. Qui Mancini non resiste al topos così frequente fin dai romanzi dell’800 della riabilitazione della protagonista attraverso le lettere, attribuendo a Tullia un amore sconfinato per le lettura: «tutte quelle parole, ognuna con il suo significato, mi esaltavano. La loro inafferrabilità non riusciva a renderle meno desiderabili né meno gratuite». Questa per lo studio è, infatti, una fascinazione che qui appare tanto potente per poi mescolarsi nel percorso di vita di Tullia che acquisisce una sapienza grandiosa anche senza libri: «ero stanca delle manie di grandezza dei morti di fame da cui eravamo circondate, tutti fenomeni stroncati sul principio a sentirli chiacchierare».

A renderla gigante il suo essere infaticabile, la capacità che ha avuto fino a che è rimasta a casa di sua madre di guadagnare abbastanza per sostenere la propria famiglia, coprendo anche i fratelli che invece non riuscivano a portare entrate che soddisfacessero Rosa, dispotica e con un disagio psichico. La protagonista campeggia invece per la forza di sottrarsi al giogo di una tale figura genitoriale e farsi la sua strada: divenendo autonoma per ogni singolo centesimo necessario agli affitti, al cibo, alle spese, per sé e poi per sua figlia Marzia, concepita con un uomo che non è neanche degno di comparire nel romanzo.

CERTAMENTE il testo si pone nel filone della narrazione del rapporto madre-figlia, ma non vi si esaurisce. Risuona, infatti, in esso una domanda più universale, condivisibile da tutte, anche coloro che hanno avuto madri opposte a Rosa: magari strazianti nella loro tenerezza. Se: «la natura stabilisce chi sì e chi no, tutto quello che ha l’uomo deve sudarselo, compreso il diritto a sopravvivere», come si fa a un certo punto a dismettere quella stessa forza che ha permesso la sopravvivenza, e arrendersi? La riconciliazione, la scacciata dei «tanti piccoli diavoli» prevede infatti la resa, ma Tullia ha dovuto accettare e imparare nella vita tutto tranne che desistere. Mancini sembra suggerire che la ragione per cui lo fa infine è perché riconosce la forza superiore di sua madre, ma Tullia invece appare a chi legge più potente di Rosa, perché dalla sua ha la pazienza. Questo il suo super potere, perché lei di certo è un’eroina.