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“Ogni volta che ti picchio”… Lenin piange – il libro di Meena Kandasamy

Testata: Abbatto i muri
Data: 23 giugno 2020
URL: https://abbattoimuri.wordpress.com/2020/06/23/ogni-volta-che-ti-picchio-lenin-piange-il-libro-di-meena-kandasamy/

“Ogni volta che ti picchio”, scritto da Meena Kandasamy e pubblicato in lingua italiana dalla EO Edizioni, con la bella traduzione di Silvia Montis, è un libro che si legge al ritmo della rabbia che cresce. La protagonista è una scrittrice intrappolata in un matrimonio con un uomo violento. Uno di quegli uomini che nel nostro contesto potremmo definire “compagni” che collezionano punti militanza usando narcisismo, mascolinità tossica e misoginia spacciati per purezza ideologica, integrità politica e onestà intellettuale.

Compagno in sezione e fascista a letto, sostanzialmente. Ogni volta che ti picchio il povero Lenin piange, poetizza il violento. Ed egli si rifugia nel mondo della sessuofobia tipico di un certo comunismo che esigeva dalle donne fierezza e grugniti e condannava sospiri e orgasmi. Noi che ancora oggi dobbiamo difenderci dal sessismo e dalle violenze di maschilisti, le cui difese vengono assunte da fedelissimi attivisti di “movimento“, sappiamo bene quanto sia funesta e orribile la violenza sessista che usa indottrinamento “politico” e autoritarismo come mezzo per soggiogare donne che pendono dalle labbra dei presunti leader.

Idioti che usano la purezza ideologica per esercitare controllo e violenza psicologica e spesso fisica sulle donne considerate come plaudenti affiliate e mai come reali “compagne”. Gli stessi idioti che se li denunci per stupro, com’è già avvenuto, ti chiamano “infame” perché hai osato consegnare lo stupratore alla polizia invece che alle volontà di una troppo spesso complice assemblea movimentista.

Io sto ampliando la lettura di quel che ho ricevuto in dono da Meena Kandasamy e per quanto abbia tentato di restare obiettiva e all’ascolto del suo racconto non ho potuto fare a meno di maturare emozioni talmente forti da obbligarmi a metabolizzare per giorni prima di poter scrivere questa mia modesta recensione.

Non vi dico come finisce o inizia il libro perché lo leggerete, almeno spero, in tant* e ne trarrete spunto per una vostra personalissima riflessione. Quello che posso dirvi è che si tratta di una descrizione femminista, commovente nella sua lucidità. Posso dirvi che la narrazione è rivolta a tutte le donne e chi pensa che quanto contenuto nel libro riguardi solo certe categorie di persone non ha ben colto il suo taglio postcoloniale.

Devo ringraziare l’autrice per aver raccontato e la traduttrice per aver trovato parole perfette da consegnarci in dono. A Meena Kandasamy consegno la mia gratitudine per aver saputo narrare senza semplificare. Per aver saputo restituire complessità rispettando la differenza tra l’essere stata vittima di violenza e il rimanere vittima addomesticata dalla narrazione tossica che non riconosce mai alle persone sopravvissute dignità e capacità di lucida autonarrazione.

Quello che riceverete è un pugno allo stomaco e poi ancora uno e un altro ancora. Vi risolleverete per ridere della descrizione autoironica raffigurante il carnefice sotto la implacabile e intelligente lente della vittima. Non subirete fascinazione per il violento o semplice empatia per la vittima. Leggendo vi ritroverete lì a pararvi i colpi, a cercare assieme all’autrice risposte e vie d’uscite, a imparare a non giudicare. Perché il racconto di chi sopravvive non può essere giudicato, non può adattarsi alla norme imposte della narrazione tossica e istituzionale che parla di violenza di genere.

E’ un racconto che non può essere sottoposto ai tanti “potevi andartene…” o “perché l’hai sposato”, “perché sei rimasta”. La violenza viene analizzata in una autopsia della deceduta relazione. L’autopsia rivela le cause della morte. Il corpo della relazione viene infine raccolto e rinchiuso in un cassetto. Uno tra i tanti cassetti che sommano la molteplicità delle esperienze.

Kandasamy è patologa legale. E’ fotografa della vicenda. La protagonista, scrittrice, rivela la distanza. Guarda se stessa da lontano. Rinuncia a lei per restituircela intera, magnifica, potente.

Leggete questo libro, passatelo di mano in mano affinché la voce che ne emerge continui e arrivi più lontano. Poi diteci che ne pensate. E raccontateci quel che voi avete vissuto.