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Il giorno in cui la mia testa ha fatto crash

Autore: Isabella Fava
Testata: Donna Moderna
Data: 22 luglio 2020
URL: https://www.donnamoderna.com/news/societa/depressione-matt-haig-ragioni-per-continuare-a-vivere

Un improvviso attacco di panico. Le ore a letto, buie e soffocanti. La mente che si trasforma in una gabbia. Lo scrittore Matt Haig aveva 24 anni quando è sprofondato nella depressione. Ha impiegato mesi per rialzarsi. Rivolgendosi a un medico, ricominciando a parlare con gli amici, appoggiandosi alla compagna. «Chi sta male è egoista, ma non può salvarsi da solo»

«Ricordo il giorno in cui morì la persona che ero allora. Cominciò con un pensiero. C'era qualcosa che non andava. Quello fu l'inizio. Prima che mi rendessi conto di cosa fosse. Poi, un secondo dopo, sentii una strana sensazione nella testa. Un'attività biologica nella parte posteriore del cranio, poco sopra la nuca. Il cervelletto. Una pulsazione intensa o un frullo, come se ci fosse una farfalla intrappolata al suo interno, oltre a un senso di formicolio» scrive Matt Haig in Ragioni per continuare a vivere, ora in libreria (Edizioni e/o). «Non conoscevo ancora gli strani effetti fisiologici indotti dalla depressione e dall'ansia. Pensai solo che stavo per morire. E poi partì il cuore. E partii anch'io. Sprofondai, velocemente, cadendo in una nuova realtà claustrofobica e soffocante. E ci sarebbe voluto più di un anno prima di potermi sentire di nuovo mezzo normale». Haig, 45 anni, autore inglese amatissimo anche da noi per il romanzo culi Come fermare il tempo (vedi box a pag. 44), ne aveva 24 quando la sua mente fece crash. Era a Ibiza, uno dei paradisi per i giovani, «il più bel posto in cui avessi mai vissuto». Da 6 anni, come dice lui, faceva «la vita da studente e lavori estivi». Rimase a letto per 3 giorni e «il terzo giorno uscii dalla stanza e dalla villa per uccidermi». La paura, forse, e l'amore per la fidanzata Andrea, oggi sua moglie, lo fermarono. Ragioni per continuare a vivere, pubblicato per la prima volta nel 2015, è una sorta di memoir fatto di ricordi, riflessioni, suggerimenti e liste. Una lunga lettera a se stesso e a chi soffre di depressione.

«Ognuno soffre a modo suo, ma tutti crediamo di essere in un tunnel senza luce». È nato tutto con un blog, 6 anni fa. «Parlavo per la prima volta della mia salute mentale. Ebbe così tanto riscontro che una mia amica che lavora nell'editoria mi suggerì di farne un libro. Scrivere mi dava pace: era come prendere il controllo di uno dei momenti più traumatici della mia vita e lasciarlo andare» mi dice Haig al telefono da Brighton, dove vive. «Però questo libro non è un trattato sulla depressione: è la mia esperienza, terribile, da cui sono guarito. Il modo in cui soffri di depressione è personale, eppure c'è una cosa che accomuna tutti: l'immagine totalmente pessimistica del mondo e della tua vita. Un tunnel senza luce di cui ti rendi conto solo quando riesci a uscirne». Si riesce davvero a uscirne? «Pensare di stare bene al l00% è pericoloso: ti spaventi appena senti qualcosa che non va e di nuovo cadi velocemente nel buio. Ti devi invece rendere conto che sei sempre su una scala. La vita funziona così: tutti abbiamo a che fare con lo stress e l'ansia in qualche modo. Bisogna lavorare su quello. Ora, da adulto, credo di essere più felice di quanto lo fossi da ragazzino. La mia esperienza di malattia mentale mi fa sentire grato di esistere, apprezzo anche la normalità, la noia, la tristezza della vita di tutti í giorni».

«Ero focalizzato su di me. E mentivo al mondo». L'attacco di panico è arrivato all'improvviso, senza una causa scatenante. Forse il poco sonno e le tante bevute. Forse l'ansia era li da sempre. «Prima del crollo» scrive Haig «affrontavo la preoccupazione con lo svago. Andavo in discoteca, bevevo parecchio e passavo l'estate a Ibiza. Avevo paura della tranquillità. Forse avevo paura di dover rallentare e abbassare il volume. Di non avere altro che la mia mente da ascoltare». Quando Matt si è ammalato, stava con Andrea da 5 anni. «Praticamente un matrimonio. Con lei non dovevo recitare. Spesso, quando cadi in depressione, senti l'esigenza di sorridere, di mentire al mondo, mentre io avevo al mio fianco una persona di cui fidarmi». Grazie a lei ha iniziato a vedere i medici, a prendere i farmaci, a decidere di non prenderli più per paura che gli alterassero la mente. A cercare un aiuto supplementare. «Andrea ha avuto i suoi momenti di frustrazione, non aveva una formazione medica né esperienza, ma è sempre stata onesta con me». Un aiuto prezioso, perché se stai male hai bisogno di qualcuno che si curi di te e di cui puoi anche tu prenderti cura. «La depressione ti chiude in una gabbia, ti spedisce dentro al tuo cervello e a quel punto diventa difficile uscire dai tuoi pensieri e dai tuoi sentimenti. Diventi egoista, ti focalizzi solo su te stesso. Avere qualcosa al di fuori a cui pensare, qualcuno di cui preoccuparti: è anche questa una sorta di terapia».

«Abbiamo paura di mostrare che abbiamo paura». «Le statistiche dicono che le donne soffrono di più di ansia e depressione, ma sono di più gli uomini che si tolgono la vita. lo credo che dipenda anche dalla cultura: noi uomini facciamo fatica a parlare della nostra salute mentale e ad ammettere la nostra vulnerabilità. Siamo incoraggiati a non esprimere emozioni, insicurezze, ansie. Abbiamo paura di mostrare che abbiamo paura». Perché la malattia mentale è ancora un tabù. «Piuttosto è uno stigma. Ma quando sei tu ad avere il controllo della tua storia tutto cambia: sono rimasto piacevolmente sorpreso, per esempio, delle reazioni dei miei amici quando hanno saputo cosa mi era successo. All'inizio ho tenuto segreta la malattia e qualcuno mi ha abbandonato: non spiegavo perché non volevo vedere nessuno, perché non me la sentivo di uscire e andare a bere. Alla fine le persone si sono stufate di chiedere. Parlando con loro ho recuperato: abbiamo così tanta paura di confessare da stigmatizzarci da soli».

«Siamo sovraccaricati». In Vita su un pianeta nervoso, il libro del 2019 in cui tratta gli stessi temi, Haig dice che è impossibile non diventare pazzi in un mondo pazzo. «Ovviamente è un'esagerazione, ma il nostro è il mondo migliore per diventare matti, specialmente nel 2020. Non per il coronavirus e il razzismo, ma per l'ansia e lo stress a cui siamo sottoposti. Siamo overloaded, sovraccaricati: da Internet, dal modo in cui viviamo e lavoriamo, dalle pressioni che noi stessi ci mettiamo addosso. Continuiamo ad alzare l'asticella su cosa dobbiamo fare per essere felici. Siamo criceti nella ruota». Come fermarla, la ruota? «Rallentando. Quando mi rendo conto di essere in bilico, io lo faccio. Leggo, pratico yoga e mindfulness, vado a correre. Ho ripreso a imparare a suonare il piano, che avevo abbandonato da adolescente: tutto ciò mi fa stare meglio».