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Il mio Alligatore finalmente in tv

Autore: Piergiorgio Pulixi
Testata: La Nuova Sardegna
Data: 22 novembre 2020

I fan di Massimo Carlotto hanno atteso questo momento per venticinque anni. Ma ora possono esultare. Da mercoledì venticinque novembre infatti arriverà in prima serata sugli schermi di Rai2 “L'alligatore”, la serie televisiva tratta dai romanzi noir dello scrittore veneto. Quattro prime serate per un totale di otto puntate prodotte da RaiFiction e Fandango, per la regia di Daniele Vicari, che è anche lo showrunner della fiction. A vestire i panni di Marco Buratti, detto “l'Alligatore”, ex bluesman ingiustamente condannato a sette anni di carcere e riciclatosi come investigatore privato senza licenza, sarà l'attore Matteo Martari. Verrà affiancato da Thomas Trabacchi, che interpreta Beniamino Rossini, un gangster milanese della vecchia scuola, e da Max “la Memoria”, pacifista e attivista ossessionato dalle sorti del pianeta, a cui presta il volto Gianluca Gobbi. Massimo Carlotto ha scritto i soggetti di serie e ha collaborato alle sceneggiature degli episodi insieme agli autori Andrea Cedrola e Laura Paolucci. La prima stagione è già disponibile in anteprima con box set dal 18 novembre su RayPlay, la piattaforma multimediale della Rai.

Dopo venticinque anni dal suo esordio l'Alligatore arriva finalmente sugli schermi. È soddisfatto di questa trasposizione televisiva?

«Molto. Sono stati scelti dei personaggi che avessero una vera attinenza anche territoriale, penso per esempio agli accenti e alle cadenze, e che potessero entrare nei personaggi. Perché gira tutto intorno a loro. I casi di serie sono ovviamente sviluppati, ma non con la stessa dinamica presente nei romanzi. Nella serie si usano i “casi criminali” per raccontare tutto quello che c'è attorno, a partire dal territorio. E in più il crimine fa in qualche modo da innesco alle relazioni tra i tre personaggi principali, lasciando emergere l'amicizia, la lealtà e la fragilità che li legano. L'elemento più fragile tra i tre è di sicuro proprio l'Alligatore, con la sua ossessione per la verità e questo peso che si porta addosso rappresentato da una condanna scontata per un crimine che non ha commesso. Ma nel complesso ho ritrovato nella serie i miei personaggi per come li avevo concepiti più di vent'anni fa. Quindi sono davvero soddisfatto».

L'Alligatore televisivo è più fragile che mai. L'amore che ha dovuto lasciare per via dell'ingiusta carcerazione lo strazia e lo rende ancora più tormentato.

«È vero. Nella serie ci sono linee orizzontali più sviluppate rispetto ai romanzi. Quindi servono nuovi personaggi, come Greta, per l'appunto, che ha un suo percorso all'interno della serie e nella relazione con Marco Buratti. Solo nell'ultima puntata “Fine dei giochi” tutte le linee narrative vengono sciolte. Certe risposte legate al rapporto e al futuro dei personaggi vengono rilevate soltanto all'ultimo. Era importante che l'Alligatore fosse tormentato: non è un personaggio risolto, e forse non lo sarà mai. Nemmeno il blues e il Calvados possono lenire certe sue ferite».

Il regista, Daniele Vicari, ha definito la serie un “western padano”. Si riconosce in questa definizione?

«Sì, a dire il vero era una definizione a cui non avevo mai pensato prima, ma la trovo interessante. La dimensione del territorio è molto presente nelle puntate. Non è un Veneto da cartolina, tutt'altro. Le vicende hanno come ambientazione la laguna veneta, Padova, la periferia di Vicenza e molte scene topiche si svolgono sui Colli Euganei. La fotografia cattura molto bene l'atmosfera di questi posti, la nebbia, la natura, dando una tonalità tematica molto precisa alla serie».

La Rai ha prodotto una serie molto ambiziosa e per certi versi coraggiosa, differente rispetto alle serie poliziesche prodotte in passato.

«Rai2 ha partecipato molto attivamente al progetto. L'ha seguito passo dopo passo con grande cura e rispetto. Per me è stato davvero molto interessante lavorare con loro. Sono contenti che siano maturati i tempi per questa serie, che è nata venticinque anni fa con la pubblicazione del romanzo “La verità dell'Alligatore”. Oggi la Rai produce progetti che riflettono la realtà e lo spirito dei tempi, e lo fa avvalendosi di grandi protagonisti».

Così come nei romanzi, il blues è molto presenta anche in questa fiction.

«Sì, c'è un grossissimo lavoro musicale. Non solo la colonna sonora di Teho Teardo – che è di per sé una garanzia – ma per esempio in ogni puntata c'è un gruppo blues che suona nel locale dell'Alligatore. E in ogni episodio si esibisce una band diversa. C'è stata una lunga ricerca delle radici americane del blues per restituire anche attraverso le musiche e le sonorità questa dimensione malinconica che è propria del personaggio. È stato fondamentale, perché il regista, Daniele Vicari, voleva immergere gli spettatori in questa atmosfera blues che è molto presente nei romanzi».

L'Alligatore ha finalmente un volto. Come le sembra Matteo Martari in questo ruolo?

«Martari è un ottimo Alligatore. Ha fatto una scelta molto importante, che è stata quella di interiorizzare il personaggio. E la resa è incredibile. La camminata, gli sguardi, la parlata con l'inflessione veneta – lui è originario di Verona – la presenza scenica sono esattamente come li avevo immaginati quando scrivevo. Quando un attore fa questo tipo di ricerca per entrare nel personaggio, “diventa” il personaggio. Questo gli va davvero riconosciuto. Sono veramente felice che sia lui a interpretarlo, soprattutto perché questo è il suo primo lavoro televisivo da protagonista assoluto».

Dei personaggi del romanzo non manca proprio nessuno all'appello.

«Sì, i personaggi sono stati tutti ridistribuiti all'interno della serie. Questo per dare maggiore forza alle linee narrative orizzontali. Devo ammettere che la coppia Tristano Castelli e Giorgio Pellegrini è davvero inquietante e darà del filo da torcere all'Alligatore e ai suoi compari».

In questi venticinque anni il mondo in cui si muove l'Alligatore è cambiato.

«Decisamente. Le cose sono cambiate sotto tutti i punti di vista. Quindi i progetti di venticinque anni fa devono essere rivisti e attualizzati. Non perché certe storie perdano lo smalto col passare del tempo. Anzi. Ma giustamente vanno contestualizzate in questa società che è molto diversa da quella del 1995. Nella letteratura noir ci dev'essere una relazione perfetta tra storia e società. E questo fa parte del ruolo dell'autore attualizzare e capire le metamorfosi socio-criminali. Insieme agli sceneggiatori ho provato a farlo per raccontare le storie dei tre romanzi delle serie su cui ci siamo basati in una chiave più moderna».

E l'Alligatore letterario, invece?

«Mettiamola così: l'Alligatore si è infognato in una brutta storia. Io spero che se la cavi e venga presto a raccontarmela, così che la possa scrivere».

Nella serie letteraria c'è anche un po' di Sardegna. La vedremo anche sullo schermo?

«Nel caso la Rai dovesse decidere di produrre anche la seconda stagione, una o due serate dovrebbero essere dedicate interamente all'isola, dove è ambientato “Il mistero di Mangiabarche”. E sinceramente mi piacerebbe proprio vedere Buratti muoversi tra Cagliari e Calasetta».