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Il diavolo veste Instagram. Una vita con l'influencer

Autore: Nicola H. Cosentino
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 8 maggio 2022

«C'è qualcosa di ipnotico nel romanzo d'esordio di Irene Graziosi, Il profilo dell'altra . Sarà l'accostamento tra due personaggi molto diversi tra loro, una millennial disillusa e disoccupata e una influencer giovanissima, buona e allegra, «la più fotogenica del reame». O forse è proprio la pre-senza della seconda a farci proseguire la lettura, invogliandoci a controllare, apparizione dopo apparizione, in che cosa sia migliore, e in cosa peggiore, di noi. Leggere Il profilo dell'altra , comunque sia, è un po' come fare scrolling su Instagram: si continua senza neanche rendersene conto, alternando odio e ammirazione per le vite che ci passano davanti. La storia è quella di Maia, 26 anni e poche prospettive, che, quasi per caso, si trova a lavorare come consulente d'immagine per Gloria Linares, celebrità adolescente con due milioni di follower. «Però non la chiamare influencer», le consiglia un'amica del settore: «Devi dire che è una creator». Il problema, ironicamente, è che Gloria non sa creare , e cioè raccontarsi, perché non ha una vita privata autentica né una vera personalità. Mentre Maia, invisibile ma carica di esperienze (spesso dolorose) e idee, ha messo tutto in stand-by a causa di un lutto insopportabile e di una relazione che la distrae dal doverlo elaborare. E così Gloria, che cerca il suo posto da adulta in un mercato sempre più competitivo, intravede in Maia la figura multiforme che le serve, e cioè «qualcuno che mi aiuti nella transizione pubblica dall'essere una liceale all'essere... qual cos'altro». Cosa, però?

Per gran parte del romanzo, la strada percorsa da Graziosi sembra una diramazione di quella che ha origine con Pigmalione di George Bernard Shaw. Poi, qua e là, il paesaggio muta, mostrando scorci che ricordano a volte Il cigno nero , il film di Darren Aronofsky (e cioè Il sosia di Dostoevskij), e altre Il diavolo veste Prada , soprattutto per via del pensiero con cui l'autrice ci conduce verso il finale: le esperienze hanno valore anche se non condivise né raccontate, e una vita genuinamente micragnosa è sempre meglio (sicuri?) della tensione a cui condanna il volersi mostrare perfetti, in ogni contesto sociale. Ma se il canovaccio, o l'insieme dei canovacci, risulta familiare - una ragazza non ricca, sensibile e un po' ossessiva si trova a confrontarsi con un mondo edificato sull'apparenza, prima mettendosi in discussione e poi sfilandosene, ma da cresciuta - lo sviluppo è gradevolmente imprevedibile, e la terra in cui si insedia quasi del tutto vergine». (...)