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Editoria: mestiere, vocazione e tante scelte coraggiose...

Autore: Luigi La Rosa
Testata: verso il faro
Data: 11 gennaio 2012

...che nell'illuminante volume "I ferri dell'editore" raccoglie riflessioni, spunti, considerazioni ed esperienze personali legati a oltre trent'anni d'attività nel campo dell'editoria italiana e internazionale. Un modo per capirne di più, attraverso la voce di uno dei più autorevoli e interessanti editori del nostro panorama letterario.

Basta leggere qualcuno dei coinvolgenti romanzi di Maupassant o di Dickens per farsi un'idea precisa di cosa dovesse rappresentare il mestiere dell'editore in epoche lontane come l'Ottocento o i primi decenni del secolo scorso. La letteratura ha conferito a questa particolare figura un alone leggendario, dorato, e l'antico artigiano designato dalle storiche vignette o riemerso dai traboccanti ritagli ingialliti dei feuilleton diviene ben presto una sorta di eroico timoniere, alla guida di una nave percossa dalle tempeste culturali, con gli occhi rossi dalla fatica e la mente abbagliata dalle soluzioni tipografiche. L'editore è anzitutto un talent scout, uno scopritore, un intellettuale dalla vista sorprendente, abituato a scrutare nel mare magnum delle possibilità per adocchiare il talento, vederlo brillare come uno scintillio di specchi o riconoscerlo nella creta disposta a farsi modellare da abili mani. Se ripensiamo a figure come lo stesso Balzac (lo scrittore fu a capo di una rinomata stamperia parigina, e più volte tentato da accattivanti progetti editoriali), o ai coniugi Woolf (l'arguto Leonard e la geniale Virginia, sostenitori di scrittori del calibro della Mansfield o di Forster) ci rendiamo subito conto di quale grado di intelligenza, passione, vocazione e spirito di sacrificio un mestiere come questo abbia sempre richiesto in chi lo pratica, suggerendo una preziosa visione personale nell'ambito del costume e della sensibilità sociale collettiva. In giorni non troppo lontani dai nostri l'editore è stato un maître-à-penser, un arbitro della bellezza, il testimone raffinato e colto del pensiero, dell'estetica dei tempi.

Con gli anni, la realtà è cambiata, e mercato e pubblico si sono trasformati sotto i dettami di un capitalismo sempre più imperante e aggressivo. Ci chiediamo allora cosa sia diventata oggi la figura dell'editore - quale prestigio ancora detenga, quali responsabilità le vengano naturalmente attribuite. Scegliere e investire nell'oceano imperscrutabile delle possibilità contemporanee dev'essere qualcosa di oggettivamente difficile e rischioso, che richiede abilità, perspicacia, ma più d'ogni altra cosa lungimiranza e coraggio. L'editore deve comprendere, deve vedere oltre, rischiare in prima persona. Deve pertanto possedere l'intuito della preveggenza, per capire laddove si annidino potenzialità e valori. Devono insomma appartenergli originalità di visione, capacità d'analisi, e una sana, irrazionale dose d'intraprendenza. Qualità che negli anni hanno sostenuto e caratterizzato fortemente le scelte di Sandro Ferri e Sandra Ozzola, alla direzione delle edizioni E/O.

La casa editrice romana - giunta quest'anno al suo trentatreesimo anno di vita, e con all'attivo successi internazionali come L'eleganza del riccio di Barbery Muriel, Una bambina e basta di Lia Levi, Amabili resti di Alice Sebold e Settanta acrilico trenta lana di Viola Di Grado, solo per citarne alcuni - si è caratterizzata fin dal principio per l'assoluta novità delle proposte, e la forza, la freschezza, l'originalità delle offerte editoriali. Meritoria e notevole l'idea di aprirsi al mercato degli scrittori dell'Europa dell'Est e in seguito di numerosi altri paesi e culture del mondo: è infatti proprio su questo fronte di dialogo interculturale che la casa editrice ha scovato delle autentiche meraviglie letterarie. Si pensi alle opere del congolese Jadelin Mabiala Gangbo, o della scrittrice tedesca Christa Wolf. O a quelle del libanese Sélim Nassib. E ancora all'ambito del noir mediterraneo, valorizzato da due presenze ormai storiche nei cataloghi di E/O, ovvero quelle degli scrittori Jean-Claude Izzo e Massimo Carlotto. In ultimo, l'intuizione geniale di approdare al vasto mercato americano, con la creazione nel 2005 di Europa editions, trampolino di lancio negli Stati Uniti per molti dei nostri autori italiani.

Tutto questo è frutto dell'impegno, ma anche di una precisa poetica intellettuale. Una poetica dell'impegno, ecco come mi piacerebbe definirla. Ne discuto con Sandro Ferri, prendendo spunto dall'uscita de "I ferri dell'editore" - il breve manuale che l'editore ha scritto mettendo a frutto la sua testimonianza e la sua esperienza sul campo. Oltre un trentennio d'attività, di scouting, di ricerca della qualità. E soprattutto, tre decenni di attenta riflessione, di studio, di soddisfazioni. Sandro Ferri risponde alle mie domande con grandissima cortesia, e con quella nota di consapevolezza, quella luce nello sguardo, che è di chi conosce ormai bene i meccanismi interni dell'universo editoriale, e ha deciso di raccontarli con onestà, laicità e schiettezza.

Un manuale, che è anche una testimonianza, una sorta di dialogo aperto con il pubblico dei lettori. Dove nasce l'esigenza di questo libro?
Nasce dalla constatazione che sempre più spesso negli ultimi tempi mi è accaduto di trovarmi in mezzo a persone - perlopiù non addetti ai lavori - che non avevano ben chiari la figura e il ruolo dell'editore. Mi è successo maggiormente con le nuove generazioni, con i giovani. Ho sentito in più d'un caso i loro dubbi, le loro perplessità. Allora, prestando le riflessioni della mia esperienza diretta in ambito editoriale, ho pensato di spiegare il mio punto di vista in proposito: pertanto il ruolo, l'importanza, le difficoltà dell'essere editore in un'epoca complicata e contraddittoria come la nostra.

I nuovi territori di internet, delle pubblicazioni on-line. Che cosa ha comportato la diffusione del virtuale sul piano strettamente culturale ed editoriale?
Una grande trasformazione, sicuramente. Vi sono centinaia, migliaia di dimensioni editoriali alle quali uno scrittore esordiente oggi si può rivolgere. Tuttavia, io credo che i limiti di questa mutazione siano abbastanza evidenti: accedendo con maggior facilità ai sistemi di pubblicazione viene ovviamente a mancare quel ruolo di "filtro" che gli editori hanno invece sempre garantito in termini personali. Questo ruolo, per così dire, passa direttamente attraverso il pubblico, il grande pubblico degli internauti, ma sappiamo bene che non sempre il pubblico è in grado di scegliere al meglio. Non sempre il successo premia scelte qualitative, o di livello. Mi piace ribadire quel che sosteneva Calasso: l'editore dà forma a una proposta. Io condivido pienamente questa posizione, perché credo sia proprio questo il nostro ruolo e il nostro lavoro. Dare forma a proposte, dare forma a proposte di pensiero e di arte. Perciò comprendo pure il normale spaesamento dei lettori davanti a tanto cambiamento.

Tale metamorfosi non comporta anche il pericolo di smarrire quelle vecchie, sagge attenzioni che gli editori di un tempo dedicavano alla cura, al confezionamento, alla distribuzione fisica dei libri?
Chiaramente è così. Il rischio è grande. L'impegno che gli editori mettiamo nella proposta di un testo è anche un impegno di natura artigianale, di cura concreta del prodotto. Giulio Einaudi guardava a com'erano allestiti i libri, li analizzava materialmente, li seguiva fin nei minimi dettagli. Dovrebbe essere un esempio per tutti coloro che fanno questo mestiere. Oggi, d'altra parte, siamo purtroppo sempre più obbligati a gestire un numero di mansioni enorme, per cui si rischia di smarrire quella stupenda concentrazione, quel pregio innegabile, che io ritengo ancora fondamentali, e importanti nel diffondere un bel libro in mezzo alla gente.

Lei trascorre parecchio del suo tempo all'estero. Qual è l'immagine del nostro paese in ambito internazionale? Che mercato hanno i libri italiani fuori?
Io posso parlarle soprattutto della realtà americana, che è quella che conosco meglio. In genere devo dire che purtroppo non si traduce moltissimo dall'Italia. E' vero che la crisi riguarda in generale un pò tutti i mercati del pianeta: in linea di massima, pure le vendite di molti degli scrittori esteri negli ultimi anni si sono notevolmente abbassate. Negli Stati Uniti solo qualcosa pari al 3% dei libri editi in lingue diverse dall'inglese viene solitamente tradotto e venduto. E' una situazione difficile, che dovrebbe chiamarci tutti in causa.

E' in tal senso che la casa editrice E/O ha pensato di fondare "Europa Editions"?
Sì, l'idea sostanziale era quella di colmare un vuoto, dando voce laddove c'era silenzio. Abbiamo cercato di fare da apripista, lavorando attraverso il rapporto con le librerie indipendenti e facendo in modo che i nostri migliori autori trovassero pian piano uno spazio altrove. Si è partiti con alcuni dei nostri nomi di maggior riferimento, per rivolgerci man mano ad altri. Abbiamo tradotto Elena Ferrante, Massimo Carlotto, Lia Levi, Stefano Benni, Alessandro Piperno, Diego De Silva. Nuovi scrittori sono pronti per essere tradotti e diffusi. Alcuni degli autori proposti hanno perfino toccato le 10, 20.000 copie di fatturato. In 6 anni di impegno abbiamo ottenuto dei risultati ottimi, e attualmente siamo l'editore che pubblica più libri tradotti all'estero.

Quello che colpisce di più ne "I ferri dell'editore" è il suo grado di leggibilità. E' un testo che si legge con piacere, perché ci accompagna nella dimensione interna e tecnica dell'essere editore senza trascurare neppure per un istante il piacere della scoperta, dell'intuizione legate all'indagine artistica. Lei parla di incontro con i libri, ma soprattutto con delle potenziali promesse di talento, dietro le quali l'editore deve essere in grado di scorgere voci, stili, forme di bellezza. Quanto l'ha sorretta nel suo lavoro questa passione deduttiva?
Per me rimane fondamentale. Ricordo ancora con emozione certe letture - certe prime letture -, dietro alle quali ho avuto modo di intuire dei grandi libri e dei grandi futuri scrittori. La cosa più bella resta questa gioia dell'incontro: incrociare una scrittura nuova, incontrare un'arte che ti regali uno sguardo innovativo sul mondo. In molti casi si lavora poi insieme all'autore, per perfezionare ciò che è già dentro il libro, consentendogli di raggiungere maggiore chiarezza, una più profonda coerenza. E' questo ad alimentare la passione che ci sostiene: il fatto che l'editore compie comunque una scelta di natura "soggettiva", che scommette mettendo in gioco la sua sensibilità, il suo gusto, le concezioni estetiche di cui è in possesso.

Lei ha chiaramente conosciuto, incontrato, valorizzato moltissimi scrittori di tutto il mondo. Ci sono ricordi ai quali è particolarmente legato?
Di ricordi ne ho tanti, perché hanno accompagnato e accompagnano ancora la mia vita. La recente scomparsa di Christa Wolf ha fatto ad esempio riemergere tutto un brulicante orizzonte di storie e aneddoti legati agli scrittori dell'Est. Aver visto e conosciuto un ambito così diverso e ormai così lontano rimane per me un fatto di orgoglio e grande emozione. Era un universo difficile, rarefatto, in parte come congelato a prima dell'Impero austro-ungarico. Tali erano le atmosfere, gli incanti che ne affioravano. Due sono a tal proposito gli scrittori che mi commuove sempre ricordare: Kazimierz Brandys, autore di un bellissimo romanzo intitolato "Rondò", e Bohumil Hrabal, narratori, artisti che hanno evocato le sfumature magiche di una Praga che non c'è più.

Possiamo concludere con due parole su "Rondò", questo romanzo a lei così caro?
Si tratta di un romanzo a mio avviso straordinario, appassionante e tenero. E' la vicenda di un giovane, che nella Varsavia occupata dai nazisti, per amore di un'attrice s'inventa di far parte di una rete di Resistenza. Gli eventi si succedono a un ritmo incredibile, e nonostante la serietà dello sfondo storico, il tono ha qualcosa di fortemente vitale e giocoso, in grado di sovvertire completamente il quotidiano. Ebbene, sono questi i libri che ti fanno chiedere dove stia il confine esatto tra verità e finzione. Se un simile confine ci sia poi per davvero. Forse, per questo li ami, e li custodisci nella memoria, per questa loro carica dirompente, sagacemente trasgressiva. E mi piace moltissimo pensare a quelle scelte individuali che hanno dentro un'energia di rottura talmente forte, da ribaltare in maniera definitiva la realtà in cui crediamo di vivere.