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Bar d'estate in Corsica

Autore: Maria Serena Palieri
Testata: L'Unità
Data: 16 maggio 2013

Prendete il pianeta di oggi, globalizzato, dove rinvigoriscono i vagheggiamenti dei piccoli «puri » mondi d'altri tempi; aggiungete la Francia, potenza coloniale finita nella polvere; e accanto l'indipendentista Corsica. Shakerate con un secolo di storia – dalla Prima Guerra Mondiale - e con una famiglia i cui esponenti dallemontagnedell'isola sonofiniti a Parigi, ad Algeri, nel Sud-Est asiatico, nella classica «diaspura». Ora prendete due giovani, Matthieu e Libero, corso puro il secondo, corso di ritorno il primo, fategli frequentare un paio d'anni di filosofia nell'ambiente snobissimo della Sorbona e dategli l'idea di piantar tutto e tornare sull'isola, per fondare un bar che sarà un paradiso in terra. Fate finire l'Edencometutti gli eden finiscono: malissimo. E strutturate l'insieme con i Sermoni che sant'Agostino, in occasione del sacco di Roma a opera dei Visigoti, pronunciò a Ippona, furibondo con i fedeli trepidi che dimenticavano che il vero mondo eterno era altrove… EccoilromanzoirresistibileconcuiJérô meFerrari ha vinto il Prix Goncourt 2012, Il sermone sulla caduta di Roma, brillantemente tradotto in italiano per e/o da Alberto Bracci Testasecca. Ferrari, classe 1968, parigino di origini ovviamente còrse, è professore di filosofia e consulente pedagogico e ha insegnato in tutti i luoghi di cui parla nel libro. Al momento al liceo francese di AbuDhabi. Di lui Fazi aveva pubblicato l'anno scorso Doveholasciatol'anima. Nei mesi prossimi e/o tradurrà altri due titoli. Oggi è al Salone del libro di Torino per un incontro con Paolo Giordano. Ecco cosa ci dice.


Qual è stato il primo seme di questo romanzo?

«La frase di sant'Agostino che pongo in exergo "Ti meravigli che il mondo va in rovina? Meravigliati che il mondo è invecchiato. È come un uomo: nasce, cresce, invecchia…". È questo passaggio di un suo Sermone che mi ha fatto intravedere la possibilità del romanzo e come legare tutte insieme le storie che racconta».


Come lo definirebbe: un romanzo post-coloniale, o globalizzato, oppure còrso?

«Piuttosto mi impensieriva quel che di metafisico c'è nella fine di un mondo. È un romanzo post-coloniale, certo,ma perché questo è l'aspetto preso da ciò di cui volevo parlare, la fine dei mondi umani. E in questo la fine del colonialismo vale come la fine di un bar di paese. Quanto alla Corsica, è in tutti miei romanzi. Qui la vicenda si nutre di realtà corse, ma spero che attinga qualcosa di atemporale e non localizzato. Non si può parlare dell'universale senza far ricorso a un punto di vista particolare. E ancora la Corsica: per me è stata una profonda soddisfazione che abbia ottenuto il Premio un romanzo che ne è così impregnato. Dieci anni fa non sarebbe stato possibile ».


Lei ringrazia in modo un po' misterioso, nella pagina apposita, il suo prozio Antoine Vespertini. Cosa gli deve?

«Una quantità enorme di notizie. Il personaggio di Marcel Antonetti gli deve molto. È lui che mi ha spiegato com'erano gli anni Trenta, dove lui c'era, e com'era la seconda guerra mondiale, che ha fatto…». Il bar di Matthieu e Libero, filosofi mancati, nasce aspirando a essere il migliore dei mondi possibili.


Perché ha scelto proprio un bar di paese come universo leibniziano?

«Sono i personaggi che l'hanno deciso. Un bar, un bar d'estate in Corsica, è un microcosmo, è appunto una sembianza del mondo. E qui siamo alla ragione onorevole. L'altra (ride) è che io conosco benissimo i bar còrsi».


Se siamo in un "miglior mondo possibile" ci sarà un Candide. Chi è Candide tra i suoi personaggi?

«Matthieu. Libero no,non lo è. Non che io abbia pensato davvero a Candide, costruendolo, ma ho pensato a un ragazzino innocente e indisponente come i ragazzini possono essere».


André Degorce, il secondo marito della nonna di Matthieu, soldato nella Seconda Guerra Mondiale, poi partigiano, poi in Indocina, poi in Algeria, non era già con stessa storia e stesso nome nel suo libro precedente,«Dove ho lasciato l'anima»?

«Sì, così come sullo sfondo lì si intravedeva anche Marcel. Quando ho cominciato a scrivere quel romanzo avevo già l'idea per questo. Ho imbastito un gioco di sponda».


Che posto ha l'ironia nella sua vita, nella sua scrittura, in questo romanzo?

«Non la amo molto. È una tradizione francese che non mi piace. Vedi proprio Voltaire. Lo scrittore che ha una pretesa di superiorità sui suoi personaggi, e magari del moralismo: ma come è possibile? Semmai preferisco l'humour nero che è un'uscita divertente da situazioni tragiche».


C'è dell'humour nero nella vicinanza che alcuni suoi personaggi qui praticano con l'incesto? Intendo i due cugini di primo grado pazzi d'amore che si sposano, Matthieu che va a letto con due ragazze alla volta chiamandole "le sorelline".

«Direi che sono troppo influenzato dalle mie letture dei classici, dalle tragedie greche dove l'incesto gioca un certo ruolo,ma quell'espressione di Matthieu, "le mie sorelline incestuose" esprime anche una bella ambivalenza tra sessualità e tenerezza».


È l'humour nero che le ha dettato le ultime righe del libro, quando Agostino, predicatore santo, al termine del suo sermone sull'aldilà muore colpito da una folgorazione: e se l'Aldilà non ci fosse?

«I passaggi umoristici sono al bar, nell'ultimo capitolo ho voluto fare il serio. Io spero che ad Agostino non sia successo davvero di dubitare in punto di morte. Ma il dubbio è inerente alla fede, ne fa parte e le dà valore, se le certezze fossero granitiche tutto sarebbe molto meno interessante e tragico. Agostino sopporta il crollo dei mondi umani perché crede in un mondo eterno. Pensi che terrore se ne dubitasse».


In un'intervista televisiva in Francia, all'indomani delGoncourt, lei ha dichiarato che una delle lezioni più grandi di scrittura le è venutadal nostro Giosué Calaciura, con «Malacarne». Può spiegarci il perché?

«Ho letto il libro purtroppo in francese, non in italiano. Ma mi ha colpito come un testo straordinario e non solo per lo stile. È un romanzo sulla mafia esatto sul piano storico e in forma di parabola estremamente poetica. La struttura, un mafioso che si rivolge al suo giudice, ha una potenza come mi è capitato di rado di sentire. Per me la lettura di "Malacarne" è stata un vero tour de force».