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"Credo nella filosofia e nei bar, inizio e fine di tutto".

Autore: Maddalena Bonaccorso
Testata: Panorama
Data: 6 giugno 2013

Nessuna cosa dell'uomo è fatta per durare». Jérôme Ferrari risponde così, citando sant'Agostino, a chi gli augura di replicare in Italia il successo ottenuto oltralpe con il suo romanzo Il sermone sulla caduta di Roma, che narra la storia, lunga tre generazioni, di una famiglia originaria della Corsica: mix di filosofia e noir, violenza e riscatto, il libro si è aggiudicato il più importante premio letterario francese, il Goncourt 2012. Classe 1968, corso di nascita ma apolide di fatto, insegnante di filosofia ad Abu Dhabi, Ferrari crede nell'eternità e nel fallimento, nell'apocalisse del pensiero e nella continua rivalsa dello stesso. Ma, soprattutto, crede nei bar, «microcosmi ideali, dove tutto inizia e tutto finisce, dove l'infinita varietà umana si condensa e si confronta». Sarà per questo che i bar sono protagonisti di quattro dei suoi sette romanzi, compreso quest'ultimo, e che Ferrari non ha paura di mischiare i linguaggi e le idee. «Le persone» continua l'autore «hanno bisogno di sapere leggere ogni caducità. E nei bar, luoghi che richiamano fortemente le idee cristiane di peccato e redenzione, si può. Si fidi, li conosco bene». Conosce bene anche la molteplicità dei livelli di scrittura (innumerevoli le suggestio­ni filosofiche nei suoi scritti, da Gottfried W. Leibniz a Baruch Spinoza, a Immanuel Kant) e la duplicità, di tempo e di spazio, essendo cresciuto in bilico tra la Corsica e Parigi, e poi il mondo. «Questo modo di vivere» sorride Ferrari «mi ha reso adattabile e amante di tutto ciò che è laterale. La periferia dell'impero è parte di me. Il paese dei miei genitori, Fozzano, è Corsica estrema: io lo amo molto. Parigi invece non mi piaceva. Ma questa vita fra due mondi mi ha reso come sono e mi ha permesso di adattarmi a tutto, all'Algeria come ad Abu Dhabi. Quindi va bene, meglio essere duplici, forse». Così com'è meglio pensare a sant'Agostino, mentre si scrive un noir; al punto da andare a cercare l'ispirazione a Ippona e titolare ogni capitolo ispirandosi ai Sermoni. «Sembra a tutti strano che in questo libro Sant'Agostino sia così presente. Ma non è un caso. Lui è consustanziale alla nascita del romanzo. Volevo mostrare la molteplicità di mondi differenti, ma tutti soggetti alla legge agostiniana del nascere, crescere e morire. Noi ci sentiamo disperati, ma dovremmo sapere che è questa la vita. Una crisi può o essere la fine di un mondo, non del mondo». Tutti i suoi personaggi cercano il proprio posto, sulla terra. Ferrari no, non l'ha mai cercato. Il suo posto è ovunque.