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Il sermone sulla caduta di Roma

Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: SoloLibri.net
Data: 15 giugno 2013

Un libro insolito e coltissimo, quello che Jérôme Ferrari ha scritto, guadagnandosi meritatamente il Premio Goncourt 2012 per il miglior romanzo. Difficile da raccontare, tanto è continuo lo spostarsi della narrazione in tempi e luoghi diversi, cominciando da una foto scattata nel 1918 da cui si fa iniziare il racconto. La famiglia di Marcel Antonetti è ritratta in bianco e nero: la madre, in lutto, un foulard nero in testa e gli occhi nel vuoto, e dietro di lei le figlie maggiori, mentre la più piccola, scalza e scarmigliata, tenta di celarsi all’obiettivo. Marcel deve ancora nascere: la foto racconta la sua assenza e la sua nascita sarà, dopo il ritorno del padre dalla guerra, una casualità.

Ferrari divaga e ci racconta in un ordine mai cronologico le diverse storie delle tre generazioni di Antonetti: dopo Marcel, suo figlio Jacques e infine suo nipote Matthieu. Lo scenario prevalente è il paesetto della Corsica dove Matthieu e il suo amico-fratello Libero hanno aperto un bar, luogo simbolico dell’incrocio di gente diversa che passa, beve, si innamora, si allontana, fallisce, fugge. Matthieu è francese, parigino, ma il richiamo della terra d’origine, la Corsica, è più potente di ogni altra aspirazione: lascia la giovane compagna di studi Judith per vivere un’apparente libertà accanto all’amico d’infanzia il cui nome, Libero appunto, suggerisce il desiderio di sfuggire alla severità del nonno Marcel, deluso dal figlio Jacques e che avrebbe desiderato, almeno per il nipote, una brillante affermazione professionale in patria.

In un caleidoscopio di personaggi che compaiono e scompaiono, in un susseguirsi di storie appartenenti a diversi scenari:

c’è il deserto africano dove Marcel, sposato con una giovanissima còrsa, mette al mondo il figlio Jacques perdendone la madre, morta di parto, e allontanandolo per sempre da sé, per farlo vivere con gli zii francesi, in realtà per perderlo;
c’è l’Algeria, dove fugge la nipote Aurélie, archeologa, ma costretta a lasciare il suo Massinissa, un professore algerino di colore, in una Francia ancora colonialista e razzista).
Ferrari ci racconta la Corsica, gli emigrati sardi, i pied noirs, gli italo-francesi, il mito di Parigi, il sogno di andare in vacanza in Spagna. Tuttavia il sottotesto, da cui il romanzo prende il titolo, che è anche quello dell’ultimo capitolo, è il Sermone di Sant’Agostino di Ippona sull’imminente caduta di Roma:

“Perché piangi invece di essere contento, tu che vivi solo nell’attesa della fine del mondo, almeno se sei cristiano? Ma forse è meglio non piangere e essere contenti. Roma è caduta. E’ stata presa, ma i cieli e la terra non ne sono stati toccati. Guardatevi intorno, voi che mi siete cari. Roma è caduta, ma in verità non è forse come se non sia successo niente?”
Questo è un piccolo brano del lungo discorso di Agostino che Jérôme Ferrari fa suo, per parlare della fine di un impero coloniale, quello francese, dove i barbari (i cittadini della Corsica, quelli delle terre d’oltremare?) sono diventati uguali ai loro padroni, nel nuovo affermarsi del cristianesimo, ma nella perenne presenza di forme di paganesimo...

Un romanzo che sembra realistico (il racconto di una saga familiare) e diventa filosofico, la metafora di ogni condizione umana e familiare nel trascorrere dei tempi della Storia... Un libro difficile da seguire a volte, quando l’autore si perde nelle sue analisi storiche sulle ragioni del colonialismo, della prevaricazione di popoli su altri popoli, della babele dei linguaggi, ma anche lirico e tenerissimo quando si addentra nella descrizione delle psicologie di alcuni dei personaggi più riusciti del romanzo, Jeanne-Marie, Claudie, Aurélie, Judith, e poi donne che compaiono appena, ma sempre legate a ruoli subalterni, mogli trascurate, prostitute, vedove precoci. Tra le pagine più intense ritroviamo quelle che raccontano la breve intensa storia di passione tra la diciassettenne còrsa, stupida analfabeta, che Marcel sposa quasi per caso, e che porta con sé in Africa, dove morirà in un luogo lontano dalla civiltà e dalle cure mediche dando alla luce Jacques, rimpianta per sempre.

“La promessa di Dio non smette di compiersi e l’anima agonizzante è debole, vulnerabile alla tentazione….Moriranno uomini, verranno violentate donne, il mantello dei barbari si tingerà ancora del loro sangue”
Il romanzo filosofico di Ferrari alterna alla narrazione le pagine di Agostino per riportarci continuamente a riflettere sul ripetersi del dolore della condizione umana.