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Venga pure la fine di Roberto Riccardi

Autore: Paolo Petroni
Testata: ANSA.it
Data: 31 ottobre 2013

Finale d'azione e thriller per quest'ultimo romanzo di Roberto Riccardi, che arriva dopo il successo di "Undercover'', finale però amaro, con l'attenzione al lato umano tipica di questo autore: ''la nostra vittoria ha il sapore di una sconfitta. Ci chiederemo perché non abbiamo capito, dove abbiamo sbagliato. Chi stava dalla nostra parte è finito dall'altra. Una catena di odio ha trasformato la giustizia in vendetta, le vittime in carnefici". Del resto il tema, e lo sfondo, di questo libro è la guerra con tutti gli orrori che si porta inevitabilmente dietro, con la capacità di cambiare le persone e, per di più, quella di queste pagine è una guerra civile come quella feroce nella ex Jugoslavia, tra serbi e croati, con l'intervento delle forze dell'Onu, cui partecipò attivamente anche l'Italia. La guerra sta diventando un tema d'attualità della nostra narrativa ed è un segno su cui credo dovremmo riflettere, perché scrittori di primo piano come Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco, Paolo Giordano non disquisiscono su forze di pace che spesso tali non sono, ma raccontano come quegli avvenimenti apparentemente lontani comincino a segnare la vita di alcune persone e della nostra società, come l'incontro con la violenza, il sangue, la morte non possa venir dimenticato al ritorno a casa, come fosse stata una vacanza. Anche il nostro tenente dei carabinieri Rocco Liguori, che avevamo conosciuto come infiltrato sotto copertura tra i narcos colombiani e la 'ndrangheta, qui racconta di aver conosciuto la guerra, anche se da osservatore, ma coinvolto in precise operazioni militari, come la cattura del famoso boia di Srebrenica, qui chiamato colonnello Dragojevic (che credo adombri quel Zelijke Raznjatovic, noto come Arkan).

L'ha conosciuta e ne è rimasto segnato perché il suo senso di giustizia e la sua umanità non potevano accettare come realtà collaterali tanti morti innocenti, tante atrocità; ne è rimasto segnato perché col suo ''odiato'' prigioniero nasce invece un rapporto, essenzialmente epistolare, su temi personali e morali legati alla guerra, che confessa sia stato sostanziale per la sua crescita come uomo. Il racconto, che inizia con pagine durissime, per farci subito capire in quale realtà si svolga la vicenda, si sviluppa su due piani, quello del passato, della guerra nel 1995 e della cattura del criminale di guerra, e quello di una decina di anni dopo, quando Liguori viene convocato dal procuratore generale del Tribunale dell'Aja per un incarico delicato e segreto: Dragojevic è stato trovato in fin di vita e le apparenze sembrerebbero quelle di un suicidio ingerendo farmaci. C'è però il sospetto che si tratti d'altro e di non facile e delicata soluzione, viste anche le implicazioni internazionali, nonostante i buoni rapporti che Liguori conserva con Mark Stone dei corpi speciali dell'esercito britannico, con cui ha operato a suo tempo in Bosnia-Erzegovina. Riccardi crea un racconto ricco, interessante e coinvolgente, che ci parla dei nostri giorni, senza infingimenti, come quando non nasconde i problemi delle missioni internazionali, con le lotte e gli interessi politici che vi sono dietro, e sempre attento alla verità umana delle cose, sapendo che ''le guerre sono sporche'' e che ''le vittime, non i carnefici, ne sopportano le conseguenze''. In più, per il suo protagonista, che ha lasciato a Roma l'amato capo Vera Morandi, ecco imprevisti incontri d'amore non facili ma coinvolgenti, rapporti d'amicizia, fedeltà ai propri ideali, alla propria coscienza, ormai in ''quella fase della vita in cui il ritorno conta più della partenza''.