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Rom, una chance è possibile

Autore: Armida Parisi
Testata: Roma
Data: 22 settembre 2014

Qualche volta la fortuna gio ca strani scherzi. A Dragutin tutti ripetono che è stato fortunato a salvarsi la vita. Ma il vecchio serbo continua a chiedersi se può chiamarsi fortuna l'essere rimasto piccolissimo sen za genitori né fratelli, povero co me nessuno, per poi andare avanti tutta la vita a combattere con l'incertezza di una vita in Kampina e la diffidenza dei gagé. "Kampina", nella sua lingua vuol dire "roulotte" e "gagé" "uomo di un altro popolo". Perché Dragutin, il protagonista del bel romanzo di Gino Battaglia "La fortuna di Dragutin" (edizioni e/o) è un rom, ed è sopravvissuto a una delle tante stragi che sono state perpetrate ai danni del suo popolo. Da parte di chi non si sa. Cetnici serbi? Fascisti? Tedeschi? Ustascia croati? Dragutin non può dirlo. Lui ricorda solo di essere fuggito nel bosco coi cugini più grandi, di aver sentito tanti spari e che, dopo, la sua famiglia non c'era più.
Parte da questa immagine dolo rosa, l'autore, per raccontare una storia di amore e di rabbia, di miseria e speranza ambientata in un campo rom. E lo fa con punto di vista originale, tutto interno al mondo Rom, che rivela la profonda umanità di questo popolo.
Abituato a dar voce a chi non ce l'ha, Battaglia, che è al suo secondo romanzo e che, da sacerdote, segue la Comunità di San t'Egidio fin dalla sua fondazione, qui apre uno squarcio su un mondo che i più guardano con diffidenza.
Intorno a Dragutin, ormai anziano, si muove un universo di anime consumate dalla fatica del quotidiano: le donne si sfiancano con le numerose gravidanze, l'accudimento della famiglia e la richiesta di elemosine per sfa marla; i maschi si preoccupano della manutenzione della roulotte o dell'auto, trascinando la vita fra un bicchiere di birra e uno di vodka. Esigenze elementari, sentimenti semplici associati a un'assoluta mancanza di cul tura fanno sì che le generazioni si rinnovino in una immutabile, lenta ripetizione. E men tre si procede all'organizzazione della festa di Santa Paraskeva, la santa protettrice della famiglia di Dragutin, si intrecciano le chiacchiere del le donne con le urla degli uomini, i corteggiamenti e i progetti, i contratti di matrimonio e i litigi.
Una scrittura limpida e intimista segue i personaggi nelle loro piccole vicende quotidiane e ne sa cogliere con delicatezza le emozioni: "Sarebbe una bella idea: un mondo fatto solo di donne. Nessun casino. Tutti tranquilli. Tutte amiche, con quelle della famiglia e anche con le altre. Niente storie. Niente polizia. Niente guerre!" È il sogno semplice di Svetlana, una delle donne del campo, che ragiona con le compagne mentre prepara il necessario per i festeggiamenti.
I maschi invece, sembrano persi in un vortice di sentimenti primordiali: la gelosia, la rabbia, il dominio incondizionato sulle donne. Un'umanità immobile e fragile, inchiodata a una tradizione anacronistica e, per certi versi, autodistruttiva. Abbandonata, per sua stessa scelta, all'arbitrio delle intemperie e della malattia. Destinata dunque a soccombere? Non è detto. Chissà che nei giovani non si insinui un germe di ribellione, come acca dea Moharem e Jàgoda, i due giovanissimi membri del clan di Dragutin, che, uniti da uno sguardo d'intesa, salgono in auto e scappano. Dove? Lontano. Dal campo, da quel fango, da quella incertezza, da una vita senza prospettiva se non quella di un altro campo, altro fango, altra incertezza
"Rom" vuol dire "uomo". Il romanzo è un invito a non dimenticarsene. Un invito al lettore. Ma soprattutto ai Rom. Se solo sapessero leggere.