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Passaggio in India e nella vita di Forster secondo Galgut

Autore: Susanna Nirenstein
Testata: Repubblica
Data: 16 novembre 2014

ALL’INIZIO si fa fatica a capire perché Damon Galgut, lo scrittore sudafricano nato nel 1963 a Pretoria, due volte candidato al Booker Prize, ineffabile nella descrizione della palude post-apartheid, con la sua prosa essenziale e serrata, i bagliori nel cuore di tenebra del bush, la sua irrequietezza esistenziale, abbia scelto di ripercorrere, di incarnare, un tratto di vita di E. M. Forster, il raffinato intellettuale inglese di un secolo fa, l’autore di Camera con vista e Casa Howard, con tutti i loro amori e tremori e sapori ancora ironicamente vittoriani. Ma poi no, poi diventa chiaro cosa l’ha portato a questa scelta.  Diventa chiaro perché Estate artica, il titolo che Galgut ha preso a prestito da un manoscritto abbandonato dello stesso Forster incentrato su un amore infelice, è un passo ulteriore sulla traccia dei libri precedenti (Il buon dottore, L’impostore,In una stanza sconosciuta) pieni di interesse per il non detto, grondanti dubbi, mancati coraggi, ricerche frustrate di approdi e amori, tensioni date dalle differenze di classe, razza, sesso. Diventa chiaro perché Forster impersona questi impacci, l’appartenenza e insieme la contrarietà al colonialismo, l’omosessualità, il blocco esistenziale e creativo che avviene se non ti decidi ad essere te stesso. Per avventurarsi in questa dimensione, non c’è niente di meglio di Passaggio in India e della sua lunga gestazione, undici anni, dopo cui Forster non scrisse più romanzi. Questo periodo è al centro del libro di Galgut. Insieme all’India stessa, dove Forster andò la prima volta per rivedere l’aristocratico Masud, un giovane allievo di cui si era innamorato. Il viaggio dal punto di vista sentimentale e carnale fu più che deludente. Vide pochissimo Masud che, dopo aver forse rifiutato un suo approccio, l’ultimo giorno, lo mandò da solo alle Grotte di Barabar, quelle al centro di Passaggio (e chiamate Marabar), con il loro vuoto, la loro solitudine. In India Forster tornò e finalmente consumò, a 37 anni, il primo rapporto sessuale completo, ripetuto, privo di illusioni sentimentali e leggermente sadico con un barbiere di corte (prima si era solo baciato, accarezzato, frequentato con Mohammed, un adorato tramviere di Alessandria d’Egitto, la città dove lavorò durante la Prima Guerra Mondiale). Quante scene, colori, paesaggi spiazzanti, ma anche riflessioni sul sesso, il potere, i rapporti tra bianchi e locali, l’isolamento, il blocco della scrittura. Ma anche quanta crescita una volta uscito dal guscio: fu solo allora, tor nato in Inghilterra, che finì Passaggio in India. In India Galgut è andato decine di volte, ne ha scritto anche lui, la definisce un’ossessione. E anche lui è stato, ha detto in un’intervista, deluso, abbandonato, durante un viaggio da un uomo che amava. Non sappiamo se la dedica a Riyaz Ahmad Mir di Estate artica ricalchi solo quella di Forster a Masud su Passaggio o sia vera, ma l’importante è che ci sia. Così come è fondamentale il primo piano dedicato all’omosessualità, che nei romanzi precedenti Galgut aveva lasciato molto nebbiosa, chiusa tra pulsioni, sfioramenti non vissuti, come quelli che tormentavano Forster del resto, lui che affrontò esplicitamente l’essere gay solo in Maurice destinato ad uscire dopo la sua morte. Anche il titolo Estate artica forse riassume bene quel che unisce Forster e Galgut un corpo a corpo tra tensione verso la realizzazione, il calore, le interazioni umane e ostacoli gelidi. Con quella necessità, che Galgut ha vissuto da omosessuale illegale durante l’apartheid ma ancora oggi lo opprime, di nascondersi, di falsificarsi, e quel finire per non piacersi. È un tema galgutiano per eccellenza chiedersi di continuo cosa succede se non si esprimono le proprie emozioni, se non si fa quello che si vorrebbe, se non lo si dice neppure, chiedersi quale genere di intreccio può nascere dall’inazione. Insomma, Galgut è Forster. Del resto l’autore sudafricano in un’intervista di due anni fa ci aveva detto «Qualsiasi cosa scrivo, c’è sempre una sola trama. Sto scrivendo di me solo, non conosco altro. Scrivi i tuoi segreti, ti illudi che l’universo ti si aprirà, ma l’universo in realtà sei tu».