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Bambini prigionieri principeschi in una zona franca

Autore: Paola Baratto
Testata: Giornale di Brescia
Data: 11 agosto 2015

Essere al centro d’un evento storico, ma come testimone parziale, impotente. Osservarne lo svolgersi, conseguenze ed orrori, ma dallo spiraglio consentito dalla propria condizione. Anzi, dalla posizione privilegiata d’un luogo ricco d’incanto.
È il «cuore» del romanzo «Il giardino persiano», di Chiara Mezzalama, appena uscito per Edizioni e/o (208 pagine, 17 euro).
Nell’estate 1981, dopo la rivoluzione khomeinista, l’Iran è in guerra con l’Iraq. Ed in questo momento delicato l’ambasciatore italiano a Teheran viene raggiunto dalla moglie e dai figli Chiara, di nove anni, e Paolo, di sei, per trascorrere le vacanze a Farmanieh. Una residenza estiva, poco distante dalla capitale, che s’imporrà come ammaliante protagonista della storia (forse, ispirata alla biografia dell’autrice, figlia d’un diplomatico, che ha l’età della bambina voce narrante).
Farmanieh è una declinazione di azzurri, il celeste della grande casa, il turchese delle preziose piastrelle Qashi, quello intenso delle vasche delle fontane, gorgoglianti o silenti e marezzate di muschi, il cobalto del cielo. C’è il patio, su cui «si affacciavano le altre stanze, come i petali di un fiore». E poi il portico, illuminato dalle lanterne, e al di là l’immenso giardino, tanto lussureggiante quanto incolto, con fatiscenti piscina, harem ed hammam. «Un luogo in totale abbandono» scrive l’autrice: «Mia madre se ne innamorò subito. Fu un vero colpo di fulmine». Farmanieh appare loro come lo struggente relitto di un’epoca perduta, in cui esisteva la povertà, ma dove la bellezza delle cose non era bandita per oscurantismo religioso.
I bambini vedranno nel giardino un luogo incantato, vi intesseranno giochi a metà tra la fiaba e l’ostile realtà di quel Paese a loro inaccessibile. E per cui nulla potranno. Prigionieri principeschi in una zona franca, libera da imposizioni, dove gli accordi internazionali consentono di contravvenire alle regole imposte dal regime dell’Ayatollah, dove si può ascoltare musica e bere vini pregiati... Del resto, la loro condizione è riassunta dai versi del poeta afghano Iqbal: «Come il vento di primavera sono venuto, ho accarezzato le erbe e i fiori e me ne sono andato».