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Quel racconto di Edgar Allan Poe che mi ha cambiato la vita

Autore: Marco Rossari
Testata: Il Libraio
Data: 14 settembre 2016
URL: http://www.illibraio.it/edgar-allan-poe-384730/

Posso dire con una certa precisione qual è stato il libro – o meglio, il racconto – che mi ha cambiato la vita (se in meglio o in peggio, non saprei). Frequentavo la scuola media, avevo già letto degli ottimi romanzi, mi ero appassionato a Dumas e a Salgari e a Stevenson, eccetera, eppure non avevo ancora avuto l’illuminazione.Una mattina, chissà per quale motivo, il nostro insegnante decise di deragliare dal piano studi, sedersi sulla cattedra come un Keating qualsiasi e leggerci un racconto per intero. Allora non ero ancora arrivato al punto odierno d’intolleranza verso le persone che leggono: l’impostazione, il leggio, il birignao (tanto che non capisco come facciano gli altri ad ascoltare me mentre lo faccio). No, allora mi bevevo le parole nuove più che volentieri.Così il prof ha preso un libro e ha letto Il cuore rivelatore dall’inizio alla fine. Sentita l’ultima parola, non ero più lo stesso: non solo ero più vecchio di mezz’ora, ma un tizio chiamato Edgar Allan Poe era diventato una rockstar. Volevo rileggerlo, volevo leggere tutto quello che aveva scritto, volevo scrivere qualcosa nel suo stile. Il danno era compiuto. Il movimento millimetrico del servitore per illuminare l’occhio chiuso del padrone di notte! Il battito incessante che sale dalle assi del pavimento! Tutto il tono fremente del narratore! (Non usate i punti esclamativi se non vi trovate in un racconto di Poe!)Un godimento così (sembra impossibile, eppure leggere può anche essere un godimento) non l’avevo mai provato. “Don’t try this at home!” avrebbe dovuto raccomandare l’insegnante. Mi avrebbe risparmiato la pena di molestare i genitori, i cugini e il mio gatto ciccione, per rileggere dall’inizio alla fine il racconto. (Per certi versi non sono cambiato molto da allora: il mio impeto ha la stessa petulanza, se mi piace una cosa sono in grado di rompere i santissimi fino alla stucchevolezza per farla leggere a qualcuno, sono quasi disposto – come un Andy Kaufman del quotidiano, nemmeno comico, nemmeno concettuale – a leggerti tutto il Grande Gatsby: “Senti qua che roba”.)Da lì avrei letto tutti i racconti “del grottesco e dell’arabesco”, come erano sottotitolati, e subito dopo, con la sventatezza dei principianti, avrei provato a scrivere qualcosa di simile. Un mio racconto s’intitolava “L’incompreso” (suonerà familiare) e raccontava di un ragazzo sadico che torturava e faceva a pezzi la sorella. Di lei restavano solo i piedi. Mia sorella, che aveva il complesso dei piedi piatti, non la prese bene. Scontentare i familiari: non fosse un atteggiamento enfatico, potrei dire che era nato uno scrittore. Di sicuro era nato un lettore, indipendente dalla scuola, sebbene proprio da un tizio appollaiato su una cattedra mi fosse arrivato quello stimolo. Da lì sarei arrivato dritto a Stephen King e poi ancora verso altre strade, spesso dietro al meraviglioso, in Savinio, in Landolfi, in Shirley Jackson, in Vonnegut, in Manganelli, in Clive Barker, meraviglioso di cui – credo – si trova un’ombra anche in Nemesio.