Ferrari è autore noto e di successo, il suo 'Sermone sulla caduta di Roma' ha vinto il premio Goncourt nel 2012, ma questo nuovo romanzo risulta affascinante e respingente assieme, ha un tema scientifico intrigante ma fatica a svilupparlo e renderlo coinvolgente per il lettore, almeno per la prima metà, che poi trova una chiave diversa e riuscita, cercando di dimostrarci che la scienza non è una cosa astratta e neutrale e non può essere intesa al di fuori della società e della storia.
Il principio del titolo è quello di indeterminazione del fisico tedesco Werner Heisenberg che è alla base della fisica quantistica, che è poi quella da cui parte la ricerca per la realizzazione della bomba atomica. Heisenberg è scienziato di vaglia, allievo di Niels Bohr con cui formulò l'interpretazione di Copenhagen della fisica quantistica, premio Nobel per la fisica a 31 anni nel 1932, noto per le sue controversie con Einstein negli anni che vedono lo scoppio della seconda guerra mondiale, quando sceglie di restare in patria e vive discussi e non facili rapporti col regime nazista per il quale poi è chiamato a dirigere il progetto per la costruzione appunto della bomba, cui lavorò in Germania sino alla fine della guerra, che aprono una serie di problemi morali non facili da dirimere. Il romanzo di Ferrari è una sorta di lunga lettera, di vicenda umana e scientifica ripercorsa rivolgendosi al protagonista cui "è stato dato di guardare oltre la spalla di Dio", che non vuole rivelare nulla, non giunge a dare risposte, ma semmai indaga e si interroga, come dando un valore anche esistenziale a quel principio di indeterminatezza per il quale, se si conosce la velocità di una particella elementare, non se ne può determinare la posizione, e viceversa. Einstein fu assillato da questo problema faticando ad accettare una visione dell'universo non deterministica, in cui nulla appare sicuro e entra in crisi la fisica tradizionale newtoniana. Allora è la vita stessa indecifrabile nella sua completezza e quel che ci appare è contraddittorio, anche perché gli avvenimenti e le situazioni cambiano o non tornano più a combaciare quando si cambia il punto di vista o viene a mancare un solo dato, così che ci si può chiedere se sia possibile vivere, specie in certe situazioni, senza compromettersi per forza. E Ferrari insinua mille dubbi nella sua disamina arrivando a chiedere: "Contava anche lei di approfittare della sua posizione per preservare la scienza tedesca e tenere lontani dal fronte i suoi rappresentati più giovani e intraprendenti sostenendo che le erano indispensabili? Aveva accettato di dirigere le ricerche per meglio ostacolarle o rallentarle?", perché una cosa è chiara, l'indeterminatezza non giustifica l'irresponsabilità. C'è un riuscitissimo lavoro teatrale di Michael Frayn (quello di 'Rumori fuori scena') intitolato 'Copenhagen' che, con Orsini, Popolizio e la regia di Avogadro, ha avuto successo anche in Italia, proprio per come presentava dialetticamente i dilemmi morali, rendeva chairi i problemi scientifici in un confronto tra Bohr e appunto Heisenberg alle prese col potere nazista. Ferrari invece ama e odia il suo personaggio, ne racconta episodi con tenerezza, altri con indignazione, ma il problema è che non dà sufficienti spiegazioni e chi legge rischia di perdersi e fatica a seguire quel discorso rivolto a un 'misterioso' lei, almeno finché non si arriva a un certo punto e poi al dopoguerra, quando il racconto si distende, diventa più chiaro e coinvolgente nel momento in cui gli scienziati tedeschi collaborazionisti vengono imprigionati nel 1945 in Inghilterra, come Heinseberg, per capire a che punto fosse arrivato con i suoi studi per la bomba. (ANSA).