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I GIORNI DELLA PAURA', L'INFERNO AFGANO RACCONTATO DA DANIELE MASTROGIACOMO

Autore: Gerardo Picardo
Testata: Adnkronos
Data: 20 settembre 2009

''Ho fatto i conti con la morte e questo ti cambia dentro. Ero convintissimo che mi avrebbero ammazzato, eravamo solo merce di scambio''. Cosi' Daniele Mastrogiacomo parla all'ADNKRONOS del suo libro 'I giorni della paura' (edizioni e/o, pp. 190, euro 16,00). Un libro che si legge d'un fiato e racconta una vicenda dannatamente reale: il rapimento del giornalista inviato di 'la Repubblica' in Afghanistan, il 5 marzo 2007. Un diario forte, che racconta in un linguaggio senza sconti quei terribili 14 giorni di prigionia, di minacce di morte e di sangue. Il suo autista e poi il suo interprete cadranno sotto il coltello dei talebani. Lui si salvera' grazie all'intervento di Palazzo Chigi, alla mediazione di Emergency e di Gino Strada, all'impegno de 'la Repubblica' e dei suoi familiari, soprattutto la moglie Luisella, che nel momento cruciale per imboccare la via di casa, gli da' il consiglio giusto.

''Per me questo libro -spiega Mastrogiacomo- e' la chiusura di un cerchio, di una storia che restava aperta. La cosa che mi ha spinto a lavorarci per due anni era il bisogno di andare oltre l'emotivita', poi il rispetto per chi ha sofferto questa vicenda dall'Italia e soprattutto un modo per continuare a parlare con due persone che erano con me e sono morte in quella sabbia. Molti considerano questa vicenda semplicemente una brutta storia piena di sangue. Io voglio ricordarla come un'esperienza che mi ha catapultato nel profondo del mio animo. Che mi ha rafforzato. Nei legami affettivi, nelle piccole cose quotidiane, nei valori umani. Nella mia professione. Lasciarla preda dei ricordi e dei fantasmi che mi hanno inseguito per tanto tempo sarebbe stato egoista. Soprattutto nei confronti dei due miei collaboratori morti. Loro avrebbero voluto che raccontassi al mondo questa nostra incredibile storia. Glielo dovevo. Dopo due anni ho mantenuto la promessa''. ''E poi -aggiunge Mastrogiacomo- puo' essere un contributo per far capire chi sono davvero i talebani. Infine, ma non da ultimo, e' un modo per dire grazie a Emergency e a Gino Strada. Un giorno, pero', prima di morire, in Afghanistan ci torno''.

Il libro esce proprio nei giorni in cui in Afghanistan hanno perso la vita in un attentato sei para' della Folgore. Sei ragazzi con il basco amaranto che sono anche nel pensiero di Daniele Mastrogiacomo: ''Ci ho pensato -spiega il giornalista di 'la Repubblica- e ho deciso di presentare lo stesso il libro domani, alle Galleria Sordi, a Roma, alle 18. Sara' l'occasione per commemorare questi nostri ragazzi e dargli onore. Chiedero' un minuto di silenzio, ma poi rifletteremo insieme di Afghanistan, informazione e altri temi. In un giorno di lutto nazionale -rimarca- sara' un momento in cui si potra' dibattere in modo pacato di una realta' che sta davanti ai nostri occhi. Ne discuteremo con Bruno Tucci, presidente dell'Ordine dei giornalisti del Lazio, con il collega Pietro Veronese e con tutti quelli che vorranno pensare con noi una realta' che non possiamo far finta di non vedere''. Perche' questo libro non e' una fiction. Come scrive nella prefazione Bernardo Valli, ''quando Daniele descrive le scudisciate inflittegli dai talebani ci fa sentire i colpi sulla sua pelle''. Carne che si lacera, carne reale, come il sangue che sgorga dal corpo decapitato di Sayed, poi spinto nel fiume. E' reale come la fine, anch'essa tragica del giovane tagiko Ajmal, l'interprete e amico che Daniele credeva in salvo e che invece, dopo una finta liberazione, viene assassinato.

Lui, il narratore, lo chiamano affettuosamente ''il recidivo'' e in queste pagine sa riportarci con mestiere ma anche con grande cuore tra le sabbie dell'Afghanistan, rivelandoci i retroscena del suo rapimento. Trascinato non in una prigione isolata ma per montagne, villaggi, campi di oppio, in un confronto-scontro continuo e tesissimo tra mentalita' e stili di vita e concezioni del mondo lontani anni luce dall'Occidente. E' l'esperienza del cuore di tenebra delle civilta' diverse, del mondo oscuro e violento che vediamo come nostro nemico, dell'attrazione che comunque esercita su di noi e del desiderio di capire. Ma il reportage nel Paese dei mujaheddin si trasforma in un'odissea, l'intervista al mullah Dadullah e' una trappola, l'inviato e' merce di scambio gettata sulla bilancia di un gioco mortale, fra i talebani e il governo filo-occidentale di Karzai. Nel giorni della paura, e' la storia di un giornalista ''nel formicaio impazzito che mi circonda''.

Cosi', scrive Mastrogiacomo, giornalista di 'la Repubblica' dal 1980, in un passaggio del libro, ''cerco di distrarmi, devo interrompere questo film dell'orrore che continua a scorrere nella mia mente. Rivedo l'autista, i carcerieri che lo soffocano, il coltello che incide la carotide, il taglio del collo, la testa che si stacca dal tronco. I suoi assassini sono ancora qui, davanti a me. Rispettano questo silenzio che ci opprime''. E altrove: ''Sono rimasto parte del pomeriggio accovacciato in un angolo del cortile, come un fagotto di stracci. Una mano mi scuote, apro gli occhi, vedo il talebano con cui spesso faccio ginnastica. Non mi ha mai detto il suo nome. Adesso lo riconosco bene: scopro, con orrore, che e' il boia di Sayed. Lo odio con tutte le mie forze''.

C'e' aria di morte, di sangue, di dolore, in Afghanistan. La cella di Sayed e' rimasta aperta, il portoncino di legno scheggiato e' consunto spalancato: ''Guardo quel buco nero e le lacrime mi scendono sul viso pieno di polvere, sporcano di sabbia la barba bianca. Le labbra, screpolate e secche, mi sanguinano''. Sono situazioni in cui non puoi fidarti di nessuno. ''Non mi hanno bendato e questo mi fa illudere che ci sia ancora un barlume di speranza. Devo tentare l'ultima carta: mi rivolgo al governo Prodi e a tutto il parlamento, opposizione compresa. Chiedo aiuto al mio amico Silvio Sircana, portavoce di palazzo Chigi''. Per il momento Daniele e' vivo. L'esecuzione e' rimandata, ma ''Sayed e' gia' stato ucciso, adesso tocchera' a noi'', pensa. ''Mi aggrappo con poca convinzione all'idea che Ajmal e io restiamo ancora degli ostaggi preziosi. Che i talebani abbiano bisogno di mantenerci in vita, che le trattative siano a buon punto, che la nostra morte vanificherebbe ogni possibile scambio''. Il mullah sorride, loro no. La scadenza dell'ultimatum si avvicina. ''Non so nulla di quanto accade all'esterno, restiamo avvolti in una bolla di cristallo, percepiamo solo alcuni vaghi segnali che ci guidano in questo immenso buio. Nessuno ci informa, nessuno ci spiega: siamo di nuovo soli, con il coltello ormai puntato alla gola''.

Il Maulvi gli allunga il satellitare: molto del loro destino e' affidato a quella telefonata che va oltre la sabbia, oltre i topi che camminano sulla carne sentendo il sangue della sua ferita. Il regista del loro rapimento e' il mullah Dadullah. L'uomo ''che dovevamo intervistare e che ha giocato con le nostre vite per regolare a proprio favore i rapporti di forza all'interno della Suprema Shura, la cupola che guida il Movimento degli studenti coranici''. E' una storia nella storia, la sua. ''Come era apparso, il mullah Dadullah sparisce nel dedalo di viottoli che circonda la vasta zona coltivata a papaveri da oppio. Inghiottito dal buio della sera. Ma prima di lasciarci, rivolto a me, aggiunge con un ringhio: 'Devi la tua vita al nostro supremo comandante. E' stato il mullah Mohammed Omar in persona a ordinare di sospendere la sentenza di morte. Lui ha deciso di non farti tagliare la testa''.

Un altro personaggio, anch'esso reale, e' il mediatore, Rahmatullah Hanefi, il responsabile dell'ospedale di Emergency a Lashkargah. ''Mi scuote: 'Andiamo, presto, e' meglio che monti subito in macchina. Non volevo venire' dice, 'sto rischiando la mia vita e quella della mia famiglia. L'ho fatto perche' me lo ha chiesto Gino Strada. Ti sta aspettando''. Gino con le sue sigarette infinite, con la sua voglia di capire, con l'abbraccio sanguigno e fraterno che pianta al collo di Daniele quando lo vede, confessandogli che e' stato duro riportarlo al sole. L'inferno e' alle spalle. ''Ma quello vero deve ancora arrivare. Mi travolgera' a ondate, ora dopo ora, scandito da sorprese, shock, arresti, polemiche feroci, minacce. E al termine la botta finale, il colpo di grazia che mi tramortisce: la morte dell'interprete afghano. Prigioniero per altri quindici giorni, poi sgozzato, decapitato, forse con lo stesso rituale dedicato al nostro autista. Tradito dai talebani, da se' stesso, da qualcuno che ha giocato con le nostre vite in una partita piu' grande di noi''. Ha pero' ragione Daniele: storie cosi' vanno raccontate.