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Disorientale – Négar Djavadi

Autore: Alessandro Vergari
Testata: Gli amanti dei libri
Data: 14 dicembre 2017
URL: http://www.gliamantideilibri.it/disorientale-negar-djavadi/

“Presto rinascerò un’altra volta. Abituata a venire al mondo nel sangue e nella confusione, a svegliare la morte e invitarla alla festa, questa seconda nascita, dall’attraversamento dell’indomito e violento Kurdistan fino alla camera d’albergo di Karaköy, è innegabilmente degna della prima. Presto il mio nome non verrà più pronunciato alla stessa maniera, nelle bocche occidentali la ‘â’ finale diventerà ‘a’, chiudendosi per sempre. Presto sarò una ‘disorientale’”.

È venerdì 17 aprile 1981. Kimiâ Sadr, iraniana, è sull’aereo che dalla Turchia la porterà a Parigi: la sua seconda nascita. Kimiâ ha dieci anni. In Francia è attesa dal padre, Darius, esule politico. Con lei viaggiano la madre, Sara, e le due sorelle più grandi, Leïli e Mina. La famiglia Sadr sta per riunirsi. Nel gennaio 1979 lo Shah ha perso il potere, destituito da un colpo di Stato che ha segnato l’inizio della Repubblica Islamica sotto la guida dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, accostato dai suoi sostenitori al Mahdi, il dodicesimo emam “occultato” dello sciismo.

Darius è un intellettuale laico imbevuto di letture occidentali, Sara è un’insegnante innamorata di Mossadeq, il primo ministro che, a seguito della nazionalizzazione dell’Anglo-Iranian Oil Company, costrinse Reza Pahlavi all’esilio. L’avvento dell’integralismo religioso peggiora la situazione dei Sadr. Vissuta sotto l’occhio vigile della polizia segreta imperiale, la famiglia è abituata alla semiclandestinità. Infine, emigra. La fuga sfinisce i nervi e sconvolge la stabilità di Sara.

C’è molta storia dimenticata in Disorientale, primo romanzo di Négar Djavadi, pubblicato in Italia dalla casa editrice E/O. Regista di cortometraggi e sceneggiatrice, nata in Iran nel 1969, Djavadi ha scritto un’opera dalla struttura cinematografica, facendo ampio uso di flashback per accompagnare il lettore nelle complicate vicende della famiglia Sadr. Una miriade di parenti, richiamati alla memoria da Kimiâ, narratrice in prima persona: Mirza Ali e Nur, i nonni paterni; Emma, la nonna materna di origini armene; i fratelli di Darius, numerati dall’uno al sei (più un settimo, nato da una relazione coniugale del nonno con una prostituta). Djavadi, come la protagonista del suo romanzo, vive a Parigi fin dall’infanzia, figlia di genitori dichiaratamente all’opposizione dei vari regimi succedutisi in Iran. La scrittrice ha trasfigurato le sue esperienze in una trama convincente, una prosa ironica e disincantata in grado di intrecciare, senza smagliature, fatti pubblici e privati.

Maternità, discendenza e sessualità sono i fili tematici che legano le storie narrate in Disorientale. Montazemolmolk, bisnonno paterno, è un signore feudale con un numero incredibile di mogli, ospitate in una sorta di harem persiano, l’andaruni. Nur è la trentesima figlia, l’unica ad aver ereditato la nota peculiare dei suoi occhi, azzurri come il Mar Caspio. Mirza Ali, nato sotto il cielo di Najaf, rampollo di ricchi commercianti di Qazvin, sposa Nur, soprannominata Madre, sperando di perpetuare nella razza i suoi occhi turchesi. Ma il fato gli tira un brutto scherzo. Solo Abbas, il figlio illegittimo, ha un’iride inequivocabilmente di quel colore. Tanto basta a smascherare il vizio di Mirza Ali e a mandare in pezzi il matrimonio. Molti anni più tardi, Darius Sadr, irrequieto lettore di Camus e di Sartre, è sicuro: dopo due femmine, Sara gli darà un maschio. Invece nasce Kimiâ, lo stesso giorno in cui muore Nur. Femmina, ma con un corpo difficile da governare. Solo Emma, in grado di leggere nei fondi del caffè, si accorge dello scambio di anime.

L’adolescente Kimiâ porta all’estremo l’indole anticonformista del padre e sperimenta l’eversione di ogni consuetudine. Conosce il movimento punk, le droghe, la cultura underground, i poeti maledetti. Divorata dalla passione per la musica e spinta dai suoi istinti, volta le spalle a un passato ingombrante, all’impegno politico del padre e al rigore morale della madre. I suoi capelli rasati sono un ribaltamento dialettico, un NO gridato alle leggi dell’intransigenza. E poi, il sesso. Zio numero due, Saddeq, non ha forse sacrificato i propri desideri fingendo di essere ciò che non è? Perché seguire l’infelicità?

Chi è sradicato vive la casa come una maledizione. Kimiâ, nomade senza nazione, gira l’Europa tra alloggi occupati, lavori occasionali e incontri con sbandati e fuggiaschi. È attratta da uomini e donne, convive con un barista e si innamora di Anna, bassista belga del gruppo alternativo Genet, così differente da lei per aspetto fisico e storia personale. “I capelli di Anna sono fatti per la sua faccia. Se li ho notati prima di vedere la persona nella sua totalità, se li ho associati alle dee del rock, è perché sono in totale armonia con ciò che è lei, con il candore della sua pelle, l’azzurro chiaro degli occhi, il naso diritto e protestante… Anna ha un viso esotico che ti fa sentire spaesata, un viso da autunno, da fuoco di caminetto, da formaggio a pasta dura, da pane ai cereali, da foreste scure, da nebbia, da stivali da pioggia, da cerate gialle, da biscotti alla cannella e da cene alle sei di sera”. L’Occidente visto da Oriente, un esotismo rovesciato.

L’outing silenzioso, la solidarietà ottenuta dalle sorelle. E poi, la decisione: avere un figlio. L’unica soluzione è ricorrere alla fecondazione assistita. Kimiâ, a differenza di Anna, non vuole un donatore anonimo. La scelta cade su Pierre, casualmente conosciuto dalla coppia durante uno sciopero dei mezzi pubblici. Pierre ha tutte le caratteristiche per essere un buon genitore biologico, eccetto una…

Disorientale è diviso in un Lato A e in un Lato B, come i vecchi 45 giri. Non è detto, suggerisce Kimiâ, che nel Lato B confluiscano sempre brutte canzoni. Vero è che solo qui, a fine romanzo, trova posto l’evento più doloroso, il FATTO. Un evento devastante, che divide il corso dell’esistenza della protagonista in un prima e un dopo. Perché la morte può bussare anche a Parigi e avere un volto inaspettato. Il rancore travestito da ideologia è un movente superiore ai valori sacri. Al destino non si sfugge. D’altronde, Disorientale non è un’apologia del nichilismo. Insegna che ribellarsi è necessario. L’uomo è pur sempre un animale in rivolta.

Numerosi sono i riferimenti all’universo rock degli anni Ottanta/Novanta. La coscienza individuale di Kimiâ si risveglia ascoltando gli U2 di War. In esergo Djavadi cita A place called home di PJ Harvey. Disorientale è un romanzo in cui linguaggi e registri diversi si compenetrano in un’unica narrazione dolente, poetica, coraggiosa ed epica. Un bel libro, meritatamente premiato in Francia e ben accolto dalla critica.

P.S. Forse non tutti sanno che la guerra più lunga del Novecento è stata quella tra Iran e Iraq. Disorientale è ricco di note esplicative. Le puntualizzazioni dell’autrice sono colpi affondati nella memoria del nostro tempo distratto e superficiale.