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L'uomo che visse 9mila e 995 volte

Autore: Andrea Bajani
Testata: Robinson - La Repubblica
Data: 21 gennaio 2018

La reincarnazione non è altro, in fondo, che una forma estrema di empatia. Lasciando il corpo originario, l'anima si trasferisce altrove e fa esperienza dell'altro, riesce a viverlo dall'interno. In quello che resta tra i romanzi più imprescindibili d'inizio millennio, Fisica della malinconia (Voland, traduzione di Giuseppe Dell'Agata}, lo scrittore bulgaro Georgi Gospodinov cosi descriveva l'empatia da cui era affetto il suo protagonista: "Si trattava di una malattia eccezionalmente rara e incurabile, ma i picchi appartenevano all'infanzia il respiro veniva diretto da una sorta di pilota automatico, finché io (una parte di me) mi trasferivo in una storia e in un corpo altrui". È necessario morire almeno un attimo a se stessi per riuscire a sentire gli altri per davvero. Il trasloco dura il tempo del contatto; poi si torna a sé colmi di vite d'altri. È così che siamo meno soli. Reincarnation Blues di Michael Poore, (e/o, traduzione di Gianluca Fondriest) è un romanzo che parla di tutto questo focalizzando l'attenzione su Milo, un'anima che ha a disposizione diecimila vite, di cui 9.995 già vissute. La reincarnazione è un'opzione alternativa, e al tempo stesso un accumulo di conoscenza: "Milo aveva infarcito di cosi tanti insegnamenti ed esperienze la sua unica anima che la conoscenza si era pressurizzata e compressa al punto di trasformarsi in saggezza. La sua saggezza era una sorta di super potere". Essere uomo e donna, e poi cane, venire prima di Cristo ("Valle del fiume Indo 2600 a C. Nessuno nel villaggio sapeva che lui aveva un'anima nuova di zecca", vivere su Ganimede, un satellite di Giove, o sopravvivere alla specie. Questo è dato in sorte a Milo: sopravvivere, vivere moltissimo, vivere per tutti. Quello di Poore è un blues inarrestabile. Kurt Vonnegut è il suo nume tutelare, non c'è dubbio, e la science fiction è un riferimento ineludibile. La vita, sembra dire Michael Poore, sembra una faccenda scalmanata. Ma non immaginate quanto possa esserlo la morte. Parola di chi la conosce molto bene: "II miglior modo di morire, senza alcun dubbio, era ii trapasso istantaneo, ma accadeva di rado. Milo era stato giustiziato quattro volte. Era stato arso vivo dall'inquisizione in Spagna, decapitato in Cina, impiccato in Sudan e condannato alla camera a gas in California. Quattordici volte era stato ucciso in combattimento". Ma Milo è morto anche durante un orgasmo, e su una navicella spaziale, ucciso da una pistola dell'aria compressa, per errore. O lanciato con una catapulta oltre la cinta muraria di Vienna, la sua morte preferita: la velocità e insieme ii volo. Milo è morto molto: la sua passione è capire ogni volta come la vita va a finire. È la fine che carica la pendola, che mette dunque in moto il tempo. Da scrittore, Michael Poore sa che è la morte ad accendere la miccia a ogni racconto. Racconta, dice Poore, perché quello é l'unico arnese che hai a disposizione per maneggiare la tua fine. Approssimandosi al trapasso, ogni vita diventa incandescente: è quella la temperatura a cui la letteratura forgia le esistenze, piega la vita usando pinze d'alfabeto. Lo scrittore la prende in mano rischiando l'ustione, ne ascolta la materia, la piega e la colpisce, poi la distribuisce tra gli uomini, appena appena raffreddata. Non è dunque un caso che la vera protagonista di Reincarnation Blues non sia la vita ma la morte: "Fra una vita e la successiva, quando riusciva a ricordare tutto, a volte desiderava di rivivere ii momento in cui era stato catapultato in una Vienna sotto assedio e affamata. Forse era strano voler rivivere una morte. Per quaranta volte aveva chiesto alla Morte di renderlo possibile". La morte e il magnete verso cui tutte le vite di Milo, come limature di ferro, convergono in maniera più o meno accelerata. La morte si chiama Suzie ("A sedici anni Suzie lavorava come donna delle pulizie nella cattedrale di Saint Thomas"), ed è la gran seduttrice di Milo: "Lei era sempre stata presente quando si svegliava a fissarlo con i suoi occhi lucidi e intensi, avvolta dai lunghi capelli neri come da un mantello". Scrivere, ci dice questo libro scanzonato, è vivere partendo dalla fine. Avere la fine come stella polare sapendo che implacabile, al fondo della frase, c'è il punto che ci aspetta. Michael Poore è un nipote di Vonnegut, e un parente alla lontana di David Foster Wallace, ma senza il genio tragico dei due. Si diverte e il suo divertimento è contagioso, e seduttivo. Perché la morte in Reincarnation Blues non sogghigna ma seduce, e la vita le casca tra le braccia. È questo che raccontano tutte le storie che l'uomo inventa da millenni. Suzie sta sempre lì, a fondo libro, e aspetta che arriviamo. Poi chiude l'ultima pagina e infine scrive il nome su quella lapide che noi, scaramanticamente, chiamiamo copertina.