Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Ninfee nere, di Michel Bussi

Autore: Cristina Bassi
Testata: Master Editoria
Data: 26 maggio 2018
URL: http://www.mastereditoria.it/ilblog/ninfee-nere-di-michel-bussi/

Giverny è una cittadina di appena cinquecento abitanti nel cuore della Normandia che Claude Monet scelse come luogo per trascorrere i suoi ultimi anni di vita. Tutt’intorno a lui costruì un meraviglioso giardino pieno di fiori ed uno stagno dove galleggiavano centinaia di ninfee, che dipinse senza sosta anche quando la cecità ormai era così predominante da fargli percepire appena delle macchie di colore.

Così come faceva il celebre pittore impressionista anche Michel Bussi abbozza i tratti di questo villaggio e dei suoi abitanti, costretti a vivere in una città che grazia a Monet è diventata un museo a cielo aperto perennemente popolato da invadenti turisti di tutte le razze.

In questa piccola isola di arte e colori tutto sembra essere perfetto, ma la perfezione è soltanto di facciata: accade che un uomo viene ritrovato morto, non una ma ben tre volte, pugnalato, colpito da una pietra ed annegato, nei pressi di un ruscello.

Si tratta di Jérome Morval, ricco oftalmologo, e sulla sua singolare fine si ritrovano ad indagare il commissario Sérénac ed il vice Sylvio Bènavides, seguendo le tre piste possibili, la passione di Morval per le donne, per i quadri di Monet, e un bigliettino d’auguri trovato nella sua tasca che recita:

“Undici anni, buon compleanno. Acconsento che si instauri il delitto di sognare”.

«La faccenda durò tredici giorni. Il tempo di un’evasione. Tre donne vivevano in un paesino. La prima era quella con più talento, la seconda era la più furba e la terza la più determinata. Secondo voi, quale delle tre è riuscita a scappare? La terza, la più giovane, si chiamava Fanette Morelle. La seconda Stéphanie Dupain, la più vecchia ero io.»

Fanette è il filtro dell’innocenza, con i suoi undici anni di talento artistico e tutta la vita davanti per coltivarlo, Stéphanie, la maestra dell’unica scuola in città, è donna seducente e sognatrice con la voglia di scappare, mentre la nostra voce narrante è quella di una vecchia che gioca a spiare le vite degli altri percorrendo con lentezza le strade. Pian piano il giallo, l’omicidio, resta ai margini, una macchia scura sullo sfondo delle vite delle nostre tre donne, diverse per età, mentalità e status, eppure cripticamente legate, internamente macchiate da segreti e sensi di colpa che le corrodono e le deviano.

Nulla in questa storia è come sembra, nemmeno i luoghi, angoli di quiete che nascondono sempre delle insidie. L’abilità di Bussi nel descrivere la città è parte integrante del potere ipnotico di questa storia, sembra quasi di sentire l’odore di erba nel boschetto, di percepire il calore del sole tra le fronde degli alberi, il fango sotto gli stivali.

Tutto a Giverny è doppio, cambia il proprio significato come cambia la luce, o gli occhi che lo guardano. Altro punto di forza è la narrazione, che con coerenza voglio definire “impressionista”: i capitoli (che dividono la storia in giornate, tredici) sono fatti per lasciare sempre indizi troppo labili per essere decifrati, oppure troppo palesi per esser presi per veri, il cervello macina pensieri continuamente mentre la vicenda si dipana nei modi più imprevedibili fino al finale, degna conclusione di un climax di maestria, l’exploit che gli è valso ben cinque premi letterari solamente in Francia.

Sarà impossibile staccare gli occhi dalle pagine, diventerà una questione di principio, un gioco a braccio di ferro con lo scrittore nel tentativo di sbrogliare la matassa di questa storia seducente.

«Qua viviamo in un quadro, siamo murati vivi! Crediamo di essere al centro del mondo, siamo convinti che valga la pena di fare un viaggio per venire qui, ma alla fine il paesaggio, la scenografia, ti cola addosso, come una specie di vernice che ti incolla alla scena. Una vernice quotidiana di rassegnazione, di rinuncia…»