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“IL SUPERSTITE” DI MASSIMILIANO GOVERNI, SOPRAVVIVERE ALLO STERMINO DELLA PROPRIA FAMIGLIA

Autore: Cristina Marra
Testata: Global Press
Data: 2 luglio 2018
URL: http://www.globalpress.it/il-superstite-di-massimiliano-governi-sopravvivere-allo-stermino-della-propria-famiglia/articoli12388

Reggio Calabria. Il racconto di un giornalista lo descrive come un uomo "dal viso morbido, fiducioso e malinconico", lui è l'unico rimasto di una famiglia di allevatori di polli massacrata da due rapinatori serbi, lui è il papà di una bimba ed il primo a vedere i cadaveri di padre, madre, sorella e fratello e cioè corpi devastati e "accoppati come maiali", lui è "Il superstite"(e/o), protagonista dell'ultimo romanzo di Massimiliano Governi.

Le certezze affettive azzerate, il senso di solitudine e la mancanza di una spiegazione a tanta violenza accompagneranno l'esistenza di un uomo privato e svuotato di tutto che cerca una rassegnazione conservando i ritagli di giornale sulla carneficina e inseguendo il destino di chi lo ha colpito togliendogli genitori e fratelli.

Vite spezzate anche quelle dei criminali colpevoli della mattanza, uno si suicida prima dell'arresto e l'altro va sotto processo. Il superstite si carica di quel fardello di dolore sordo che gli penetra nel cuore e nel corpo e continua la sua vita solitaria attaccandosi morbosamente alla casa intrisa del sangue della sua famiglia.

Segue il processo e la vicenda di quell'uomo spietato e chiede sostegno al giornalista che da subito aveva intuito il suo dolore intimo e devastante, dolore che lo spinge a separarsi geograficamente da moglie e figlia e a dedicarsi al suo lavoro. Il giornalista sarà il suo compagno nei viaggi in Serbia per partecipare alle udienze. Due uomini soli che si incroceranno più volte spinti dalla necessità di mantenere ancora viva la storia del massacro.

Il noir di Governi prende alla gola e stringe il cuore per la sua potenza narrativa, per il suo essere la voce del sopravvissuto con tanta partecipazione e immedesimazione e per il rispetto verso la sofferenza muta. Il suo noir è la storia di un'esistenza, quella di un uomo vittima e colpevole allo stesso tempo che smonta e ricostruisce il martirio dei genitori e dei fratelli con le assi di legno della casa che ha assorbito il sangue della sua famiglia. Il superstite si racconta e accetta un male immenso e in un certo senso vorrebbe esserne vittima anche lui per non espiare la colpa di essere ancora in vita.

La storia del massacro di una famiglia e dei superstiti riporta a un fatto di cronaca americano narrato anche da Capote. Quando hai deciso di scrivere "Il superstite" e come hai scelto il protagonista?

Ho seguito questa vicenda, tutte le sue evoluzioni, per circa 30 anni. Il fatto è successo nell’agosto del 1990, in quel periodo le pagine di cronaca dei giornali si occupavano del delitto via Poma. Questa storia mi ha subito colpito e ossessionato, anche se a quei tempi avevo appena cominciato timidamente a scrivere e non pensavo certo di occuparmi letterariamente di questa famiglia sterminata e del Superstite. L’ho deciso solo sei o sette anni fa, riguardando il materiale accumulato, ma lo scrivevo in terza persona, lo attaccavo dalla parte sbagliata: Stephen King dice che un romanzo è come una torre che bisogna attaccare, ma prima è necessario capire da dove entrare. Quando ho avuto il coraggio di entrare dalla porta principale, scrivendolo in prima, sono entrato e non sono più uscito.

Racconti la sofferenza del figlio superstite che è anche una vittima mancata, quasi un colpevole per essere scampato al massacro. Il tuo superstite subisce e in un certo senso accetta il dolore per un senso di colpa inconscio?

Lui da subito capisce che il suo è il compito di Sisifo: quello di spingere assurdamente la sua pietra in cima al colle per vederla poi rotolare in basso. Accetta il proprio destino.

L'ambientazione è appena accennata, sembra un luogo non luogo identificabile nel nord d'Italia, più approfonditi sono i luoghi dei viaggi del protagonista per seguire il processo del colpevole e per riavvicinarsi alla moglie e alla figlia. Quanto conta l'ambientazione per te in un noir?

Io non ho mai scritto un noir puro, né forse saprei scriverlo. Tendo sempre a non dare nomi ai personaggi e ai luoghi dei miei romanzi. Mi suona ridicolo qualsiasi nome e i luoghi, per me, sono tutti luoghi dell’'anima, più che geografici.

La casa del massacro diventa centrale nella storia, è la custode del male e del dolore?

Sì, infatti il mio personaggio non riesce a staccarsi da lì. Tiene anche i buchi dei proiettili nel muro e le strisciate di sangue, non stucca e non rivernicia. Teme di sparire anche lui, di annullarsi, lasciando quella casa. il sopravvissuto

Un libro e tanti articoli di giornale raccolti dal superstite raccontano la carneficina. Scrittori e giornalisti e i loro diversi modi di approcciarsi al male e ai delitti, nel libro racconti anche questo?

I giornalisti forniscono una ricostruzione dei fatti molto vaga, con aggiunte “a invenzione”, differenti tra articolo e articolo. La maggior parte di loro recita la solita litania dell’ “estate assassina”, nessuno ha notato l’analogia con il massacro dei Clutter raccontato da Truman Capote in “A sangue freddo”. Solo il racconto di un giornalista è accurato e preciso e pieno di curiosi dettagli. E poi la descrizione che fa de Il superstite denota una spiccata sensibilità, umana e letteraria.

Il giornalista e il superstite in fondo si assomigliano?

Sì, e a volte si confondono, voce e corpo, si impastano l’uno nell’altro. Nella prima scena, mentre portano via i quattro corpi dentro bare di alluminio, una persona di avvicina al giornalista e fa le condoglianze a lui, invece che al Superstite.

Il protagonista solo e solitario compie un percorso di formazione e di reazione al dolore e alla ferocia?

Io credo che lui combatta una battaglia, non sapendo nemmeno quale, tanto è solitaria.

Rapporto vittima e carnefice, si riesce ad accettare l'esistenza di chi ti ha privato di quella dei tuoi cari?

Bhè, come ogni superstite, lui rimane per sempre agganciato a quella tragedia, e la sua vita si lega inesorabilmente a quella dell’assassino, e addirittura non riesce ad accettare che il suo carnefice, a un certo punto, non ci sia più, che non esista più.

Impossibile non pensare ad “A sangue freddo”, che viene citato più volte anche nel libro. E’ uno dei testi fondanti della non-fiction contemporanea, un paradigma ingombrante con cui Carrère si è confrontato quando decise di scrivere “L'avversario.” Tu come ti ci sei rapportato?

Il mio protagonista compra quel libro, dopo che il giornalista gliene ha parlato perché quella vicenda ricorda incredibilmente la sua. Lui lo sfoglia, ma non riesce proprio a leggerlo. Lo tiene lì, in un tavolino rotondo e impolverato, per 30 anni. Poi un giorno decide di bruciarlo, insieme agli articoli sulla sua storia che ha conservato nel tempo. Si potrebbe dire quindi che io, come scrittore, l'’ho affrontato liberandomene, dandogli fuoco.

Com'è stato raccontare una storia così dura e carica di sofferenza in un centinaio di pagine?

E’ stata una battaglia anche la mia. Soprattutto quella che ho combattuto in tutti quegli anni che provavo a scrivere il libro e non ci riuscivo. Poi una notte di marzo –il 30 marzo precisamente - mi sono fatto aggredire e invadere dalla cancellazione di quella famiglia, sono diventato io Il Superstite, è tutto è filato via liscio.

Frase memorabile: " Ho continuato la mia solita vita. Prendevo in consegna i pulcini a tre giorni di età, li restituivo quarantanove giorni dopo, pronti per la macellazione. Intanto aspettavo il secondo grado di giudizio del processo. Me la cavavo piuttosto bene a casa. Cucinavo, lavavo, stiravo. Con me viveva gatto Silvestro, il gatto dei miei genitori, ma un giorno è scomparso per trascorrere la notte chissà dove e non è più tornato."