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Cose da fare da grandi

Autore: Laura Piccinini
Testata: D - La Repubblica
Data: 25 maggio 2019

È sempre una questione di gestione dei rimorsi & rimpianti, qualcosa che può scattare a 40 anni ma pure a 25, se si è smesso con le lezioni di classica o piano a ne medie o si è studiato Ingegneria («perché con Architettura tua cugina è rimasta disoccupata»). Si può prendere (o prendersela con se stessi) dicendosi che ci sono cose che se non si sono imparate prima, è tardi. Ma tardi per cosa? Pensate veramente che sareste diventati ètoile, archistar o ginnasta della nazionale? E anche se fosse, a 30 anni suonati sarebbe stata ora di pensare a smettere. «Il primo rimpianto è non avere imparato a giocare a tennis da piccolo», ha detto Jonathan Franzen, sapendo che tanto non sarebbe diventato Roger Federer, e in quel caso nemmeno uno dei fondatori del nuovo romanzo americano.

Ma la certezza non l’avrà mai. Al contrario, Kim Kardashian West, social star milionaria grazie a cosmesi e chirurgia plastica più che al marito imprenditore rap, studia da avvocato e pare abbia solo libroni di Diritto sul comodino. «Se lo fa lei, anch’io posso diventare qualsiasi cosa», è stata la battuta di molti alla notizia dilagata sul web dopo la rivelazione a Vogue Usa. Invidiosi. KKW si è beccata le lodi del celebre attivista Van Jones per avere ottenuto la liberazione di una 63enne nera in carcere per minima questione di droga (pazienza se lo ha chiesto a Trump). Nell’America delle eterne opportunità, senza laurea in Legge, con un pacchetto da 4 anni tra apprendistato e l’esame per il baby-bar da principiante, Kardashian sarà avvocato nel 2022, ha annunciato in video.

In effetti, racconta Lorenza Pieri, scrittrice 47enne (quindi giovane all’anagrafe della letteratura italiana) emigrata a Washington DC, «non so se avrei ripreso il sogno gettato di diventare ballerina se fossi rimasta in Italia, dove corsi di danza per adulti seri come al Washington Ballet non ce ne sono. Senza contare che qui il senso del ridicolo non esiste», non smette di rimarcare agli amici di Facebook (e chissà che dai post delle sue dance stories non ci scappi un libro). In Italia o è robetta da deficienti (prendetela come provocazione), o fai pilates e varianti. Al Washington Ballet è «1 ora e 45 alla sbarra o diagonali, sequenze di passi s danti anche cerebralmente, la lezione della domenica mattina è il mio andare a messa. Una ripassione serissima», la chiama (smessa a 13 anni perché viveva a Capalbio e la corriera non bastava). «Ricominciare a danzare è stata la scoperta che potevo fare con il corpo quello che facevo con la mente scrivendo, senza la parte di ansia». E le maestre. L’iraniana o «la russa incredibile Irina, corpo da 16enne ma età imprecisata, che usa metafore pazzesche, tra Bulgakov e Nurejev. Per il piquet ci dice: “Immaginatevi di sradicare rapidamente delle carote dall’orto con la punta del piede. O usa figure drammatiche, “non lasciare indietro il braccio come un orfano”, alternate ad altre che attingono all’immaginario del lusso da ex moglie di un diplomatico, per il relevé “immaginatevi ai piedi uno stiletto Jimmy Choo”, per la rotazione della testa di “dover mostrare un anello di diamanti nella mano sinistra a un party”. Danno l’idea di come per lei la preparazione degli allievi sia finalizzata all’esibizione su un palco», continua Pieri, che fa tranquillamente «la spaccata e la tripla piroette con il colpo di testa per non cadere (e alle lezioni si va come quando si scrive a casa, non ci si cura il look come in palestra, si è lì per lavorare duro»). Il suo libro, Il giardino dei mostri (edizioni e/o), è in uscita ma lei non perde una lezione. «Per me che ero una procrastinatrice distratta, dopo giornate ad arrovellarmi sulle parole, canalizzare la concentrazione nel controllare il corpo è una forma di sollievo che somiglia alla felicità. Un distillato di gioia consapevole che non si prova da piccoli». Rimorsi & rimpianti, si diceva. «Scavallata una certa età, si ripresenta il dubbio di non aver verificato no in fondo quanta capacità avessi davvero, quanta possibilità di esprimere quel talento», dice Mattia, ingegnere nella sede Usa di una conglomerata italiana che si occupa di scambi tecnologici con l’Europa (applicazione di brevetti aerospaziali alla vita quotidiana, laser militari per uso medico, grattacieli a N.Y. In gara contro Boeing e Lockeed), si presenta alle riunioni con chiazze di pittura a olio resistite alla doccia. Le sue tele non sono da pittore della domenica, su Instagram hanno un discreto seguito, qualche gallerista le ha notate. Ha sempre amato disegnare. Pensava di poterlo fare studiando Architettura, finché arrivò la nemesi della cugina maggiore che avendola fatta era disoccupata. «La mia famiglia piemontese ha prevalso e mi sono iscritto a Ingegneria, sperando ci fosse del disegno e invece facevano tutto i software». Per un compleanno del figlio non avevano fatto in tempo a comprare il regalo e con la sorella «gli abbiamo dipinto una megatela della vista iperrealistica dalla sua stanza. Non era male. Mi è tornata l’urgenza del disegnare».

Cerca i workshop più interessanti. «A Scottsdale, Arizona, dove ci sono solo cactus nella residenza per artisti di Jeff Heine, lasciando in sospeso uno scambio tecnologico col Pentagono. Quando ho chiesto le ferie al mio capo, che ha voluto il motivo, era allibito ma anche curioso. Quest’estate ho prenotato a Orvieto da Bernardo Siciliano, figlio dello scrittore». Il suo capo, sempre più incuriosito, gli ha proposto di studiare per l’azienda un software AI che scansiti i suoi quadri a olio sia in grado di farne di nuovi tramite algoritmo. «Sostanzialmente, mi ha chiesto un robot che facesse fuori il mio talento riscoperto».