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Yishai Sarid: «Non abituiamoci all’orrore e all’odio quotidiano»

Autore: Antonio Buozzi
Testata: Lettera 43
Data: 9 giugno 2019
URL: https://www.lettera43.it/yishai-sarid-memoria-shoah/

È una riflessione originale sul peso del male, sulla sua forza di contaminazione, la nuova opera sull’olocausto dello scrittore israeliano Yishai Sarid, ben conosciuto in patria per romanzi di successo a livello internazionale, come Il poeta di Gaza, e che ora si ripresenta in Italia con Il mostro della memoria, pubblicato da e/o nella traduzione di Alessandra Shomroni. Un libro che forse ancora mancava per allargare lo sguardo dalla tragedia della Shoah a quella del «male» tout court, a quel «mostro», appunto, che non scompare mai dalla storia ma che si nutre della memoria delle sue vittime per riaffiorare inaspettato e terribile in nuovi contesti storici e geografici.

Il mostro della memoria è il resoconto di un dottorando esperto di campi di sterminio tedeschi al suo superiore, il direttore di Yad Vashem, l’ente israeliano per la memoria della Shoah, a seguito di un incidente con un giornalista tedesco di cui si racconta al termine del romanzo. Il protagonista, grazie alle sue competenze, per arrotondare le entrate guida gruppi di studenti a visitare i lager nazisti in Polonia. È un modo per tenere accesa nelle giovani generazioni il ricordo di quella tragedia che lui, «fedele agente della memoria», compie come una missione, in modo scrupoloso e appassionato. Eppure, poco alla volta, il racconto del male risveglia il «mostro», lo riattualizza, portando il protagonista a un progressivo sprofondare nel male stesso che il racconto cercava di esorcizzare.

SE IL RICORDO DIVENTA UN VELENO

Al figlio che gli chiede: «E tu lotti contro questo mostro?», risponde che «il mostro è già morto, è rimasto solo il suo ricordo». Illudendosi, perché proprio il ricordo, come un veleno, mina il suo apparente distacco ed equilibrio e finisce per schiacciarlo. Del «mostro» è impossibile dare una «nota a margine», come definisce le molte testimonianze dei sopravvissuti. Per raccontarlo non serve lo strumento della razionalità o l’analisi oggettiva: «Qui è stata cancellata l’illusione chiamata uomo. Io però dovevo sconvolgerli, non potevo continuare con le spiegazioni tranquille, malinconiche, che non esplodono in un urlo». Di fronte non tanto alla «banalità» del male da parte di chi lo compie per ottusità o indifferenza, ma di chi lo subisce, va posta come una clausola di salvaguardia, la cautela di riconoscere che il suo potere è sempre vivo e devastante, che si cade nelle sue maglie poco alla volta e inavvertitamente, che ha una facilità di contagio che non risparmia nessuno.

Forse non è un caso che ritornino in Sarid, che di professione fa l’avvocato a Tel Aviv, l’acribia delle legge mosaica e levitica, con le loro norme di purità rigide e apparentemente disumane: persone impure, lebbrosi, adulteri vanno allontanati subito dalla comunità, il più delle volte uccisi, perché altrimenti il male può deflagrare e contaminare chiunque. Scriveva il compianto Amos Oz in Giuda, una delle sue ultime felici opere, che «la verità è che tutta la forza del mondo non basta per trasformare l’odio in amore. Colui che odia lo si può trasformare in servo, ma non in uno che ama». Al male non c’è rimedio, la redenzione per Sarid è impossibile: la sola opzione è tenerlo a distanza.

LA CRISI TEOLOGICA IMPOSTA DALL’OLOCAUSTO

«C’è un pericolo nell’avere a che fare giornalmente con l’orrore», spiega lo scrittore israeliano a Lettera43. «Può succedere che la propria anima ne venga sconvolta, come è accaduto al mio protagonista. Egli conosce ogni dettaglio dell’orrore, lo vive e rivive nella sua mente. Alla fine non riesce più a contenerlo dentro di sé. È alla ricerca degli occhi dei morti e si sente contaminato da dettagli orribili. Tuttavia, l’attitudine religiosa ortodossa che cerca di tenere lontano l’orrore dalla memoria è motivata dalla grande crisi teologica imposta dall’olocausto. Come puoi pregare Dio e chiedere aiuto alla sua misericordia se sai cosa è accaduto a sei milioni di ebrei in Europa?»

DOMANDA. Nel suo libro non sembra esserci alternativa al male che combatterlo con le stesse armi di chi lo compie. Paradossalmente, contro un nazista occorre comportarsi da nazisti. Non ci sono altre strade per affrontarlo e cercare di sconfiggerlo?

RISPOSTA. Naturalmente, un’alternativa c’è e consiste nel prendere una posizione morale contro il male e l’odio. Tuttavia, richiede coraggio e determinazione. È più facile cadere nella spirale dell’odio e della violenza. Oggi lo vediamo ovunque nel mondo: la gente comincia a essere stanca dei valori dell’umanesimo e della democrazia e si arrende ai leader che vi si oppongono. Il mio protagonista lotta con questo dilemma: in un mondo così violento possiamo permetterci un umanesimo e possiamo trovare in noi stessi il coraggio di combattere contro il male?

I giovani studenti che il narratore accompagna nelle visite ai campi di concentramento sembrano ormai lontani, indifferenti a quella tragedia. Non c’è modo quindi di preservare gli insegnamenti del passato per evitare di ripetere gli stessi errori?

In Israele la storia gioca ancora un ruolo molto importante. I suoi traumi continuano ad assillarci sia a livello personale, sia come società. Molti studenti delle scuole superiori israeliani visitano ogni anno si campi di concentramento tedeschi in Polonia. La memoria dell’olocausto è una parte preponderante della nostra psicologia e della nostra dimensione politica. Purtroppo, viene spesso manipolata facendo leva sulla paura e sull’odio. Ma il punto cruciale oggi è il trascorrere del tempo, perché ci sono sempre meno testimoni e sopravvissuti dell’olocausto e in futuro sarà più facile stravolgere la storia.

Come è nata l’idea di scrivere un nuovo romanzo sull’olocausto?

Ci sono voluti molti anni prima di scrivere su questo tema. Sapevo che non avrei potuto inventare una storia ambientata nell’olocausto. Quello che mi interessava era di riflettere sull’impatto della memoria di questa tragedia nella vita degli israeliani di oggi e quale lezione abbiamo imparato. Mi ponevo continuamente delle domande: come avrei agito se fossi stato lì? Avrei rischiato la vita per salvare altre persone che mi erano estranee? È da questi dilemmi che è nato il libro.

In un suo libro precedente, Il poeta di Gaza lei rifletteva sulla pressione che la società esercita sugli individui e la possibilità di opporvi una qualche “resistenza”: in che modo?

È una sfida molto difficile. Io metto i miei protagonisti in situazioni nelle quali devono affrontare dilemmi morali impegnativi. È molto facile predicare la moralità e la tolleranza quando non c’è nessuno conflitto o pericolo. Ma quando devi affrontare minacce reali, come succede a Israele, rimanere umani e morali diventa molto più difficile. In queste situazioni oscure ed estreme, si mostra il vero volto di una società.

In Israele ci sono state recentemente le elezioni politiche. Come le commenta?

Devo ammettere che non ho più molte aspettative di cambiamento. Gli israeliani portano un ricordo terribile di pullman, ristoranti e night club che esplodevano nei terribili Anni 90 e 2000, quando i palestinesi ebbero l’occasione di riguadagnare la loro indipendenza, ma preferirono comprometterla con la violenza di molteplici attacchi suicidi su civili israeliani E altrettanto hanno fatto gli ebrei estremisti assassinando il primo ministro Rabin. La parola «pace» non è stata menzionata nella recente campagna elettorale e la speranza che si possa avverare è praticamente defunta. Ma finché non ci sarà una nuova svolta verso la pace, con la possibilità costruire una nuova reciproca fiducia, non ci sarà neppure la possibilità di un vero cambiamento nella politica israeliana.