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Il giardino dei mostri

Autore: Beatrice Galluzzi
Testata: Donne difettose
Data: 2 agosto 2019
URL: https://donnedifettose.com/2019/08/02/il-giardino-dei-mostri/

I mostri. Cʼè chi li usa come impalcature per costruirci un mondo. Chi i propri demoni non li subisce, ma li cavalca. Chi, come Niki de Saint Phalle con il suo Giardino dei Tarocchi, è riuscita a trasformarli in qualcosa di tangibile e angosciante, un complesso di opere che possono essere dimore confortanti, ma solo per chi ha il coraggio di abitarsi.

“Non un angolo retto, solo forme morbide, femminili, inquietanti, immerse tra i lecci e i sugheri. Sembravano essere sorti dal terreno come giganteschi funghi velenosi dai colori tossici e innaturali, spuntati in mezzo al bosco dopo una notte di pioggia incantata.”

Nel suo libro “Il giardino dei mostri” (E/O, 2019) Lorenza Pieri ci riporta nello spazio temporale tra la fine degli anni ottanta e lʼinizio dei novanta. Siamo a Capalbio, sulla costa maremmana, tra contadini e butteri che si scoprono imprenditori e giovani di provincia in competizione con i coetanei in trasferta dalla capitale. Quella zona, poco dopo il confine laziale, era e resta meta per le vacanze dei romani di buona famiglia, ancora attratti dal fascino rurale e brado della campagna, guardandolo spesso dallʼalto del loro piedistallo.“La campagna non era quella cosa poetica dellʼaria buona, il cibo biologico e il miele autoprodotto che sarebbe diventata molti anni dopo. Era fatica, ernie e sudore, sveglie antelucane, puzza di sterco. Era essere sempre sporchi, stanchi, rugosi di sole, con i calli alle mani che non servivano mai alle carezze.”

I nuclei familiari in ballo nella storia sono due: da una parte quello di Annamaria – la protagonista e la voce più forte della storia – maremmano da generazioni, dallʼaltra una famiglia della Roma bene, della vita di facciata. È proprio Annamaria, adolescente complice della sottomissione che le è stata cucita addosso e che lei stessa pare calzare senza fastidio, a subire una spinta scomoda ma necessaria. Sacrifica le sue estati lavorando nella Selleria, rudere convertito in agriturismo da suo padre e da un socio romano, che ne hanno fatto una struttura recettiva di successo.

“Lʼattrazione della Selleria era lʼaccoppiata buttero e deputato. Sauro Biagini e Filippo Sanfilippo mattatori delle notti maremmane. Accanto a Sauro, Sanfilippi si sentiva come Robinson Crusoe con Venerdì, con una platea molto più vasta, e nella civiltà con soldi, potere. Contava lʼeffetto contrasto per esaltare la sua raffinatezza, lʼeloquio, le conoscenze. Uno snobismo studiato e voluto.”

In questi anni di fermento, di ripresa economica, di collisioni, a Capalbio avviene parallelamente un cambiamento sotterraneo, nascosto tra la macchia delle colline, ed è quello che Niki de Saint Phalle edifica con la sua arte nel “Giardino dei tarocchi”, attraverso sculture grottesche e imponenti, ricoperte di frammenti multicolore; opere che in molti considerano deturpanti, ma che danno lavoro a diverse persone del posto e per diversi anni.

Annamaria conosce l’artista francese grazie a sua cugina Giovanna – assistente di Niki – che la fa entrare nel parco e, allo stesso tempo, nella vita di una donna inafferrabile, sensitiva, più esotica di qualsiasi altra straniera. Giovanna le confessa che la vita con Niki è “Imprevedibile, tutta alti e bassi, fatta di momenti esilaranti e altri difficilissimi, ma piena, piena, non cʼè un istante sprecato, un istante che non sia consacrato allʼarte[…] sembra non essere in grado di guidare se non andando veloce, come se fosse su un aereo che se rallenta precipita. Devʼessere una cosa da artisti. O a tutta velocità o fermi, o una vita di adrenalina o piuttosto la morte. “

Annamaria, in crisi per i sentimenti complicati che nutre verso unʼamica e travolta da una faida familiare, trova in Niki un oracolo, un conforto fuggevole ma pur sempre concreto; uno specchio sminuzzato, come quelli delle sue opere, che rimanda riflessi scomposti, e per questo fin troppo reali. Niki la prende sotto la sua ala scultorea, ne carpisce lʼafflizione e la riverbera senza pudore. Parla ad Annamaria dei momenti più tragici della sua esistenza, più di tutti quello che lei chiama lʼestate dei serpenti: “Erano due serpenti neri, velenosissimi, dai quali ci avevano messo in guardia tutti al casale. Rimasi paralizzata, non riuscivo più a muovermi né a respirare. Per la prima volta vedevo la morte da vicino. Quei serpenti si stavano accoppiando. Cosa era la loro, una danza di morte o di vita? Sarebbe stata la morte per me e la vita per loro? Ero incantata. Era tutto lì. Forse la mia vita intera si può riassumere in quel momento, in cui gli opposti presero un senso sotto forma di un distillato di paura.”

Nellʼestate dei serpenti di ognuno di noi può racchiudersi il fulcro di questa storia impetuosa, dai rimandi storici nostalgici, tratteggiati da una scrittura florida e avvincente. Lorenza Pieri ce la racconta amabilmente attraverso capitoli che sono carte dei tarocchi. A ogni scena corrisponde una figura, a ogni anima in pena la sua personale proiezione.

PERIODO IN CUI LEGGERE “IL GIARDINO DEI MOSTRI”

Se siete nostalgici degli anni ʼ80 e ʼ90 in questo libro troverete quello stesso mood. Leggetelo se siete cresciuti in campagna perché vi ricorderà lʼodore del terriccio caldo dopo le piogge estive e le passeggiate a cavallo. Ma lo apprezzerete anche se avete in vissuto in città e passato le vacanze in posti lontani da quelli abituali. Un testo confortante anche per chi si sente fuori posto, sempre, tranne quando può esprimersi attraverso lʼarte.

COLONNA SONORA DA ASCOLTARE DURANTE LA LETTURA

Vi consiglio di accompagnare la lettura di queste pagine con la voce di Dolores OʼRiordan dei Cranberries, artista che ha combattuto contro i suoi mostri senza riuscire a sconfiggerli, almeno non nellʼultima battaglia. Mentre leggete questo libro ascoltate il loro album d’esordio – uscito proprio nei primi anni ʼ90 – Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We?, in particolare la canzone “Linger” che si addice ad Annamaria, una pietra grezza e rude, nella sua incompresa rarità (I‘m sure I’m not being rude. But it’s just your attitude. It’s tearing me apart. It’s ruining every day.).