Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Duval e Cassegrain traspongono le Ninfee Nere di Bussi

Autore: Simone Rastelli
Testata: Lo spazio bianco
Data: 6 novembre 2019
URL: https://www.lospaziobianco.it/duval-e-cassegrain-traspongono-le-ninfee-nere-di-bussi/

Uno (o più?) delitti, un marito geloso, un ispettore ammaliato dalla moglie del maggior sospettato, tre donne, bambini e l’ombra di Claude Monet. Questi gli ingredienti principali di Ninfee Nere, romanzo di Michel Bussi, che Fred Duval (sceneggiatura) e Didier Cassegrain (disegni e colori) hanno trasposto in fumetto – prodotto in Francia da Dupuis e portato da noi dalle Edizioni e/o, che nel 2016 hanno pubblicato l’edizione italiana del romanzo, e di molti altri gialli dell’apprezzato autore francese.

Senza rovinare il gusto della scoperta, vale la pena rassicurare che, nella più classica tradizione del racconto investigativo, non solo alla fine tutto viene spiegato, ma nel corso dello sviluppo vengono anche forniti gli indizi per ricostruire gli eventi. D’altra parte, sempre in accordo con la tradizione, gli autori giocano con l’attenzione e lo sguardo del lettore, attirandoli e distraendoli in modo tale da guidarli senza parere lungo il percorso voluto. In questo articolo, non volendo rovinare la sorpresa di chi non conosce il racconto, ci concentreremo proprio su questo gioco di prestidigitazione che ha luogo nelle tavole di Duval e Cassegrain.

GIOCHI D’OMBRE

La mossa di apertura del racconto consiste nello stabilire subito un tono favolistico, che vela lo scenario di un senso di generale indeterminatezza: “Trois femmes vivaient dans un village […] Leur village portait un joli nom de jardin. Giverny”/”Tre donne vivevano in un paesino. […] Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny” è infatti incipit da fiaba (ripreso letteralmente dal romanzo), così come da racconto tradizionale è la comparsa in scena della triade femminile nella forma bambina (Fanette), madre (Stéphanie Dupin, che madre non è e la cosa ha conseguenze) e vecchia, che “savait des choses sur les deux autres” (”sapeva cose sulle altre due”) e offre la voce narrante.

Tutto questo nella prima tavola, composta da una grande immagine che mostra uno stagno con ninfee, appoggiata sopra una striscia orizzontale che mostra le ombre di tre figure femminili. Sopra ciascuna di esse, una didascalia: “la prémière etait méchante, la deuxieme etait ménteuse, la troisième etait égoiste” (“La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista”). La connotazione è quindi doppia: le parole rivelano il carattere di ogni donna, ma la rappresentazione in ombra allude una profonda ambiguità ontologica, poiché l’ombra è una proiezione di un oggetto su una particolare superficie e non l’oggetto.

E la costruzione dell’intreccio sfrutta largamente il fatto che le vicende sono intessute di proiezioni che guidano e talvolta oscurano o coprono la realtà. La prima proiezione, ci rivela la voce narrante, è quella del desiderio delle tre donne di lasciare il villaggio, che si manifesta in modi diversi, legati strettamente alle loro prospettive e visioni del futuro. A queste, si intrecciano le due storie dell’ispettore Sérénac, incaricato delle indagini su un omicidio, che proietta il proprio desiderio e i propri sentimenti sullo scenario che tenta di dipanare, e quella del marito di Stéphanie che nasce del desiderio di possesso della vita della propria moglie e che lo porta rapidamente in cima alla lista dei sospettati. Nel piano del racconto, queste proiezioni si manifestano come passioni, la cui interazione dà forma alla vicenda, attraverso un intreccio che annoda tre fili narrativi, uno per ciascuna delle figure femminili, e porta in scena un cast numeroso: il gruppo di amici della bambina, gli adulti coinvolti nell’indagine e i conoscenti della vecchia, che sollecita ricordi e ricorsi.

L’apertura in luce di fiaba è quindi seguita da un ancoraggio spaziale e temporale definito: Giverny, 13 -25 maggio 2010. Questo è l’intervallo entro il quale gli eventi narrati precipitano e prendono forma sulla pagina: un qui e ora che assorbe trame che si dipanano attraverso decenni, dilatando i piani temporali. L’oggi si rivela legato al passato, come dichiara il primo indizio trovato sulla scena del delitto: una cartolina con un’allusione a un bambino, che si rivela anello di una catena di accadimenti che coinvolge la piccola comunità.

Questa determinazione di tempo e luogo guida la prospettiva entro la quale il lettore è chiamato a collocare ciò che segue. L’avvertimento in tal senso è esplicito: “pendant treize jours seulement, les grilles du parc s’ouvrirent” (“per tredici giorni e solo per tredici giorni, i cancelli del parco si aprirono”): in quella manciata di giorni si aprirono i cancelli di quel parco turistico e prigione dello spirito che per le tre donne è Giverny – il villaggio dove Claude Monet abitò per oltre quaranta anni e compose gran parte delle sue opere, in particolare le sue ninfee sul lago, e per questo uno dei siti turistici francesi più visitati.

GIOCHI DI LUCE

Secondo elemento di guida allo sguardo sono le parole. Ninfee nere è intessuto di dialoghi e accompagnato da una voce narrante in un flusso verbale che riempie le pagine, aggancia il lettore, costruisce la tensione e, soprattutto, cattura la sua attenzione.

L’indicazione implicita di questa abbondanza è che nelle parole stia il bandolo della matassa: indagine e riflessioni sono portate in primo piano e offrono spunti al lettore per costruire le proprie ipotesi su eventi e personaggi, su moventi, motivazioni, affinità e progetti. Ad accompagnarci pagina dopo pagina è il basso continuo della voce narrante della più vecchia delle tre donne, che si presenta come responsabile di un omicidio e a conoscenza di cose che riguardano le altre due: vive defilata rispetto al villaggio, in un mulino indicato come “la casa della strega” da dove ha occasione di poter osservare senza essere vista ciò che avviene nei dintorni.

Niente, si constaterà alla fine della lettura, viene omesso; abbiamo alcuni detour su piste secondarie – si vedano i dialoghi con gli esperti di Monet per seguire la pista dei trafficanti d’arte – ma questo, oltre che occasione di arricchimento dello scenario e spezia erudita, è nella natura del gioco investigativo. Molto semplicemente, il nostro punto di vista per la lettura delle informazioni si posiziona nello spazio tempo costruito nell’incipit: è da lì guardiamo le ombre che si muovono sul fondale del racconto e da lì ne interpretiamo le mosse.

Tutto si svolge alla luce del sole e la luce stessa è protagonista della messa in scena, poiché la delicatezza dei colori e la morbidezza delle sfumature costruiscono un’atmosfera di placidità che contrasta con gli eventi che osserviamo o le passioni che intuiamo. L’effetto è un senso di immobilità che fa percepire le ragioni del desiderio di fuga delle tre donne: il cambiamento appare bandito a Giverny. Monet è spesso richiamato, ma il racconto sfrutta una linea chiara molto leggibile, ben lontana dalle sfrangiature cromatiche e dalle dissoluzioni degli oggetti che ci propongono le sue opere impressioniste.

C’è anzi una cura del dettaglio e una semplicità nella costruzione delle tavole che rafforzano l’impressione di concretezza e possibilità di controllo e verifica di ciò che è offerto agli occhi, come se la rappresentazione ponesse solo uno strato sottile e trasparente fra noi e la realtà. Se fermassimo lo sguardo, distaccandoci dal flusso di parole, potremmo invece apprezzare che la sintesi del tratto definisce spesso i corpi e gli oggetti come silhouette, che ambienti e oggetti hanno sì concretezza spaziale, ma una materialità indeterminata e che i volti parlano solo attraverso gli occhi, risultando pressoché privi di mimica espressiva. Le bocche, ad esempio, così invadenti nei visi, sono sempre atteggiate in pose stereotipate, quasi a consigliare prudenza, se non addirittura diffidenza, nell’ascolto di ciò che dicono. La diffrazione che genera le immagini di Monet è semmai ripresa nella costruzione dell’intreccio: niente è esattamente dove dovrebbe e le collocazioni di luoghi e tempi sono proiezioni (impressioni) di uno specifico atto di lettura nel nostro spirito di osservazione.

L’opera è lunga e densa, cattura nel suo ritmo e nel suo intreccio che non sembra trovare uno scioglimento ma, nella suo incalzare, lascia poco spazio all’espressione dei sentimenti. Le tensioni e le passioni che popolano le tavole sono esplicite e sempre molto nette ma appaiono funzionali allo sviluppo della trama e non riescono a dare articolazione alle personalità dei personaggi.

Caso esemplare, la profondità dell’amore fra Stéphanie e l’ispettore emerge nella conclusione, mentre durante tutto il racconto la relazione fra i due è resa come meramente strumentale, basata sull’attrazione erotica e il desiderio di fuga: qui il depistaggio degli autori ha finito per depotenziare l’intensità della vicenda.

Al lettore che abbia già letto il romanzo il fumetto offre l’occasione di tornare a immergersi nella vicenda e di concentrarsi, già in prima lettura, sulle soluzioni adottate da Duval e Cassegrain per realizzare le strutture portanti del racconto, che valorizzano sia l’atmosfera sia la trama mystery che regge la narrazione. Chi incontra per la prima in questa versione il racconto di Bussi, invece, avrà l’occasione di perdersi nell’intreccio e gustarsene lo scioglimento.