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Quel Pifferaio magico di Josif Stalin e il deludente Pasternak

Autore: Angelo Molica Franco
Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 7 luglio 2017

Era fatta per l'amore Marina Cvetaeva. Ma non fu quello per un uomo l'amore cui la poetessa si votò, benché negli uomini sempre lo cercasse, sempre rimanendo delusa. Amava «senza fiato», così la descrive Rainer Maria Rilke, a cui Marina destina lettere «come verso un monte che mi protegge».

Allora quale fu il grande amore di Marina? Di certo la poesia quando, difendendo la vita, diventa la vita stessa. E a difesa della vita, e dunque della poesia, scrive nel 1925 il poema L'accalappiatopi (oggi in uscita per e/o, a cura di Caterina Graziadei). È una grande prova di satira e lirica insieme, in cui Cvetaeva denuncia la propaganda stalinista dietro una riscrittura del mito del Pifferaio magico, che trova in una metafora del bottone il suo acme: «Tutto l'ordine del vivere si tiene col bottone». E mentre «il sobrio è abbottonato», il poeta non lo è. Già invisa a Stalin, Cvetaeva rivendica la libertà di non vivere abbottonata, e la dirompenza dei suoi versi le costa un ostracismo e una censura più duri. Ma provoca anche il plauso innamorato di Boris Pasternak, che già aveva ammirato la silloge Versts (1922) Per più di un decennio i due alimentano un epistolario fittissimo. Lui la ama tangibilmente: «Sei mia», e ancora «Ho un solo scopo nella vita: tu!»; vuole lasciare la moglie per lei, mentre Marina - esule in Germania e poi in Francia - gli confessa di non sapere amare «dentro un appartamento», ma predilige «vederlo in sogno» in un «rapporto ultraterreno». Marina ama l'assente, così quando si incontrano per la prima volta, a Parigi nel 1935, è delusa e gli scrive «La nostra storia è finita» Anche a lui Marina non e piaciuta, la trova malvissuta, già vecchia, accetta la decisione: continueranno a scriversi in spenta amicizia.

La verità, forse, e che la poesia non bastò: nel memoir L'epoca e i lupi Nadezda Mandel'stam (moglie del poeta Osip) ricorda che «i Pasternak avevano pasti veri, piatti veri, tende e bambini» dato che Boris si era addomesticato al regime, mentre Marina «mai avrebbe accettato di sottomettersi. Lui era un abbottonato. Marina «lavorava, e scriveva, e raccoglieva la legna, e nutriva la famiglia con le briciole», ricorda la scrittrice Elena Izvol'skaja. Lo testimonia Cvetaeva stessa nella raccolta Il campo dei Cigni (nottetempo, a cura di Caterina Graziadei, pp. 170, euro 12), un vivido diario in versi redatto tra il 1917 e il 1920, anni in cui conosce la miseria che mai le si staccherà di dosso.

E non è difficile, allora, immaginarla senza bottoni quando per biasimare Pasternak, gli scrive: «Tutta la mia vita è una storia d'amore con la mia anima»; frase che molto rivela anche di quella domenica 31 agosto 1941 quando, ormai tornata in Russia, decide d'impiccarsi per sbottonarsi dalla miseria del corpo e liberare l'anima a una nuova stagione d'amore.