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Si può ridere anche dei gulag leggendo Berdzenisvili

Autore: Felice Modica
Testata: Il Giornale
Data: 20 ottobre 2018

Solo dalla Georgia può arrivare in un Gulag sovietico uno come Levan Berdzenisvili, traboccante di sense of humour, conoscitore della Grecia antica, di Omero e Aristofane, come dei grandi poeti georgiani Šota Rustaveli, Vaza-Psavela, Nikoloz Baratasvili o Galak’t’ion T’abidze, o del calcio brasiliano. Da un paese che, nel 1971, resiste alla decisione sovietica di abrogare con un colpo di spugna le lingue nazionali, imponendo il russo come lingua ufficiale.

Hanno accettato gli armeni, che pure vantano uno fra gli alfabeti più antichi del mondo, ma i georgiani non lo subirebbero. Shevardnaze lo sa e ricorre all’abilità diplomatica per convincere Mosca a non applicare la legge nella sua Georgia. Vi riesce. Berdzenisvili detesta Shevardnaze e ha le sue ragioni. Fondatore di un partito Repubblicano ispirato a quello USA, è internato dall’1984 all’1987 nel campo speciale numero 3, a Dubravlag, Repubblica autonoma di Mordovia. Arrestato sotto Andropov, ex capo del Kgb; prosegue la prigionia con Chernenko e, con Gorbaciov, vive nel gulag la perestrojka. Shevardnadze gli appare un comunista, come l’altro georgiano Stalin, forse altrettanto cinico e crudele. Eppure, a giudicare dal sentimento popolare, la figura dell’ex Ministro degli Esteri sovietico non è cosi negativa. Viene giusto dalla Georgia, questo filologo bibliotecario, deputato, docente di storia della letteratura antica. Da un Paese con una storia greca e romana; una lingua annoverata tra le nove o dieci “tipiche” della terra: due coniugazioni parallele, a distinguere tra l’azione esterna e la sensazione interiore. Di Berdzenisvili è uscito il volume La Santa Tenebra (E/O, trad. di Francesco Peri, pagg. 271, euro 18), che racconta con una serie di straordinari ritratti di compagni di Gulag, gli anni della prigionia, mettendo alla berlina il sistema sovietico. Arcipelago gulag di Solzhenicyn, I racconti della Kolima di Salamov sono libri cupi e terribili, diversi da questo, che pure descrive la vita non piacevole del gulag. Ciò non dipende solo dalla maggior durezza del sistema carcerario, ma dal senso dell’umorismo dell’autore, come lo stoico, “libero anche se in catene”.